Elezioni e cultura

Troppo presi dall’Imu, sempre concentrati sulle agenzie per verificare il piano di comunicazione da attuare e costantemente attratti dalla tentazione di apparire. I politici italiani nell’ultimo mese si sono preparati come meglio hanno ritenuto all’appuntamento con un voto, quello per le politiche e le regionali di domenica e lunedì, ritenuto da molti il bivio della crisi economica e politica che imperversa in Italia. Più di altre, questa campagna elettorale sarà ricordata come una corsa alla sopravvivenza per molti protagonisti, da un lato in cerca di uno scoglio a cui aggrapparsi per non essere travolti dall’ondata di antipolitica e dall’altro bramosi di essere ancora incisivi nel governo del paese. Ma passerà alla storia anche per l’ascesa di nuovi fenomeni sociali e nuovi personaggi. E in questo scenario ancora una volta hanno vinto le idee, le proposte a cui associare una speranza. Anche in campo culturale lo sforzo dei candidati si è concentrato nell’arginare gli stenti a cui la crisi economica sta costringendo il settore. I tagli alle sovvenzioni, l’ultimo quello al Fus, i commissariamenti di alcune strutture museali o teatri importanti per via della gestione resa incontrollabile dalla carenza di fondi e le proteste degli operatori culturali associate ad alcune notizie uscite negli ultimi giorni, si veda quella battuta dal Corriere della Sera pochi giorni fa che denunciava lo stato dei musei del Lazio, costretti a un’erogazione da parte della regione di soli 469 euro al mese, hanno fatto sì che le proposte dei partiti principali si orientassero verso le strategie di reperimento di maggiore liquidità da devolvere al comparto culturale. Poca fantasia, quindi, nella sostanza. Ma nella forma un po’ di creatività non è mancata. Si pensi a Mario Monti, che per chiudere la sua campagna elettorale ha optato per la piazza di Firenze, da cui ha invocato, non a caso, un nuovo Rinascimento per l’Italia, che parta dalla cultura, dal lavoro e dal talento.

Tuttavia qualche differenza emerge scorrendo i programmi dei vari partiti. Il partito Democratico nel suo propgramma rivela un approccio più statalista all’organizzazione delle politiche culturali. Sostiene l’idea per cui la spesa pubblica debba arrivare ai livelli europei, partendo dalla chiara affermazione che quello in cultura è un investimento. E il carattere prevalentemente pubblico di questo investimento deve costituire la vera garanzia di autonomia del mondo della cultura. Lo Stato innanzitutto, quindi, sebbene non si trascuri l’apporto degli investimenti privati. E per attrarli il Pd suggerisce un sistema di incentivazione fiscale. A differenza del Pd, il Popolo della libertà dà maggiore spazio all’intervento dei privati. La sua filosofia apertamente liberale si conferma anche in questa sfida, per cui viene proposta una politica di sperimentazione dell’affidamento in concessione ai privati dei musei più in difficoltà. I due principali partiti italiani si contendono quindi lo scettro del governo sul patrimonio culturale italiano sul campo della natura da dare agli investimenti. Diverso il caso di Mario Monti e della sua lista Scelta civica. In questo caso un importante supporto in termini di iniziativa culturale è stato dato dall’ingresso nel suo movimento dell’ex presidente del Fondo ambiente italiano, Ilaria Borletti Buitoni. Non a caso nel programma della coalizione guidata dal presidente del Consiglio uscente riaffiorano alcuni di quei punti su cui il Fai aveva interrogato le forze politiche per rilanciare la cultura. Come quella di aumentare i limiti di deducibilità dei privati ad almeno 250 mila euro (rispetto ai 70 mila attuali) per le donazioni a favore di associazioni impegnate in attività di tutela, promozione e valorizzazione dei beni di interesse artistico, storico e paesaggistico. L’agenda cultura di Monti contiene anche misure per rilanciare lo spettacolo dal vivo, rendendo maggiormente partecipi regioni ed enti locali. Si propone di estendere il credito d’imposta ad altre forme di spettacolo diverse dal cinema e, inoltre, prevede l’introduzione di una nuova legge sul diritto d’autore per combattere la pirateria digitale (500 milioni di euro di danni al settore audiovisivo e dell’editoria) e la riforma della Siae. Balza subito all’occhio l’assenza di iniziative su queste tematiche sul foglio online di Beppe Grillo, che tra le sue dieci proposte per uscire dal buio non annovera alcun progetto per il patrimonio culturale. Sebbene a fare da garanti per la sua opera di pulizia morale e intellettuale del paese si siano schierati personaggi che da sempre non fanno mistero della loro cura per il mondo delle arti come Adriano Celentano e il premio Nobel Dario Fo. Tra i nuovi protagonisti dell’agone politico italiano ci sono due new entry: Antonio Ingroia e Oscar Giannino. Il movimento Rivoluzione civile dell’ex magistrato ha concentrato la sua battaglia sulla fiscalità legata alla cultura. Propone, infatti, di portare l’investimento nella cultura almeno all’1% del Pil e di finanziare i settori della produzione culturale tramite la fiscalità generale e la fiscalità di scopo. Non solo. Chiede la defiscalizzazione degli investimenti in cultura e l’Iva al 4% per tutte le opere e le attività culturali. Sulla stessa linea d’onda Giannino con il suo Fare per fermare il declino, con l’innovativa aggiunta del punto relativo alla diffusione di fondazioni di diritto privato con partecipazione pubblica non superiore al 25% e alla creazione di reti per i beni culturali minori.

Con maggiore timidezza, invece, i partiti hanno esposto le loro posizioni riguardanti il ministero dei Beni e delle attività culturali. Alcuni ambienti intellettuali, negli ultimi giorni, ne proponevano la totale rivisitazione. La politica ha voluto affrontare cautamente questo spinoso argomento. Da domenica a lunedì un lento brivido percorrerà la schiena di molti osservatori, nell’attesa di conoscere con quali basi nascerà il percorso di rilancio della cultura e dell’arte italiana.

 

 

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