Le città invisibili di Vitali

Quel branco dei cani di Velasco Vitali, installato nel 2010 nella chiesa sconsacrata di Sant’Agostino a Pietrasanta, ha toccato le corde più profonde di quella sensazione di deriva, di una inconscia inquietudine in cui lo spettatore in qualche modo viene catturato e si ritrova. Nelle sale intorno al chiostro l’Attesa, una tela di dimensioni enormi, modulata sulle tonalità dei grigi, brulicante di presenze anonime, alienate, ci ricorda Un popolo di volti di Ernesto Treccani, esposto presso la fondazione Corrente e dipinto dopo la strage di piazza Fontana, immediata traduzione sulla tela di un evento drammatico, dove i riferimenti al luogo sono assenti ma rimane la forza dei volti della folla accalcata in piazza.

L’attenzione al reale è stata affrontata da Velasco Vitali attraverso il tema delle città, dalle vedute dei luoghi del meridione e quella Milano fantasma che ha percorso un itinerario sentimentale della metropoli. L’artista presenta un percorso pensato e calibrato per un’istituzione storica e di studio come fondazione Corrente, ente promotore del progetto Foresta rossa, a cura di Luca Molinari, che sarà installata sull’Isola Madre di fronte a Stresa (16 marzo – 21 ottobre 2013) e alla Triennale di Milano (luglio – agosto 2013). In origine la mostra prevedeva un intervento al piano seminterrato, un grande albero sospeso su una superficie riflettente e idealmente connesso nel vicolo esterno da un’installazione site-specific, quale segnale per la città e luogo da vivere in occasione di incontri pubblici e dibattiti sul tema dei luoghi abbandonati della cultura milanese. Da quel luogo irreale e simbolico, quasi fosse una delle città invisibili di Calvino, la mostra ha virato su un percorso che puntasse alle origini del processo creativo dell’artista, che toccasse i ritmi intimi del fare arte in un progetto articolato quale è Foresta rossa.

In una recente intervista per Inside Art, Vitali ha indicato tra le sue opere preferite Las Meninas di Velasquez; questa mostra si ricollega idealmente a quell’opera e rispecchia un momento di riflessione sulla complessità dell’opera di Vitali, in cui lo spettatore assume un ruolo centrale. All’interno del percorso di schizzi, disegni, tele e calchi, alcuni elementi ricorrono costantemente: gli alberi, la giostra, i cani, la casa sull’albero, sono tracce di un immaginario individuale ma allo stesso tempo collettivo. L’albero, che con diverse tecniche e materiali è stato realizzato e allestito alle isole Borromee, di cui viene esposto il calco in gesso, esprime forse un po’ di quella discendenza, che come scriveva Darwin, ci portiamo dietro. Tuttavia è un albero senza foglie, arido e isolato come Fatamorgana, l’albero totem che abbiamo visto sospeso sull’acqua del lago Maggiore, di fronte all’Isola Madre. Anche la Foresta è rossa, un paesaggio desertificato, spoglio, che sembra non aver più nulla da offrire; fa riferimento alla catastrofe di Cernobyl, simbolo di un disastro naturale di cui siamo responsabili e parte lesa al tempo stesso. In quella città la giostra si è fermata e la natura ha ripreso il sopravvento. La Foresta rossa è la prima delle città scomparse: l’esplosione di Cernobyl mette in moto la mutazione, sovverte in un certo senso il rapporto di fiducia con il dato naturale, reale, tangibile.

Velasco Vitali, pittore del reale, artista figurativo, anche se non ama, giustamente, questa definizione restrittiva, accoglie nella sua opera l’elemento metafisico e surreale; la dimensione del sogno infantile entra con coscienza nel racconto narrativo attraverso le città abbandonate. In mostra al piano seminterrato, che raccoglie i bozzetti delle sculture e installazioni pensati per l’Isola Madre, un disegno del branco dei cani dà l’idea di come il cane diventi esso stesso soggetto e proiezione dei sentimenti dell’uomo, abbandonando il ruolo di fedele accompagnatore che l’aveva contraddistinto lungo la storia della ritrattistica rinascimentale fino al cane insabbiato di Goya. Senza risalire all’uomo dei lupi, celebre caso di Freud il cui paziente disegnò proprio un albero senza foglie abitato da un branco di lupi, in un mondo post atomico, o post traumatico, il branco di cani sopravvive, ognuno con la sua identità e peculiare posa, compreso il cane totem rivestito in oro e collocato in disparte, che tutto osservava dalla piazza di Pietrasanta. Il branco è stato il primo elemento del complesso rapporto tra l’arte di Velasco e l’architettura, tra natura e artificio, tra valore intrinseco dell’opera e sua spettacolarizzazione scenografica con allestimenti nati e progettati per specifici luoghi. La mostra alla fondazione Corrente percorre questo iter creativo consapevole che il territorio, il dato narrativo dell’ambiente, viene meno. In questa occasione Foresta rossa si configura come un archivio di idee, immagini abbozzate, modificate, interrotte, testimonianza di un percorso avvenuto e ancor ricco di spunti.

Fino al 16 aprile; fondazione Corrente, via Carlo Porta 5, Milano; info: www.fondazionecorrente.org