Il fantasma del pop

I Baustelle hanno un solo dio: il pop. Il gruppo di Francesco Bianconi ha deciso, fin dai primordi, di tracciare una linea e di non superarla mai. La loro musica è un castello enorme dove si vive in una sola stanza. Le altre camere sono deserte e sporche. L’uscio della porta è un confine che per giuramento volontario nessuno può varcare. La stanza dove si vive è perfetta e accogliente. Viene pulita nei particolari, con ossessione. Il resto del castello è sconosciuto e in stato d’abbandono. Il fascino della musica dei Baustelle è questa reclusione volontaria. Voi, con un’orchestra di sessanta elementi cosa avreste fatto? Loro hanno fatto Fantasma: pop.

È così che forse può dirsi chiusa una parentesi del gruppo. Dopo questo album i Baustelle hanno esplorato tutto ciò che i loro confini contenevano, fino a rovistare sotto il tappeto o cercare fra gli angoli della stanza. E forse sono pronti a uscire. Fantasma, dunque, è il lavoro di un folle convinto di dover prima imparare a scrivere alla perfezione per poi apprendere a leggere. In sostanza il disco non è altro che una sfumatura che si aggiunge alle precedenti per arrivare al bianco. Non c’è niente di drastico, nessuna spaccatura con il passato, il gruppo è ancora quello, anche se con sessanta strumenti in più.

Certo, il passo di Fantasma è stato lungo ma niente che non si poteva prevedere (forse con il senno di poi) dalla produzione precedente. Lo scopo rimane quello: pop raffinato, d’autore. Bianconi, così, mette a nudo le sue influenze, presenta un ventaglio di ispirazioni che vanno dal nostro cantautorato (De Andrè regna sovrano, seguito dall’immancabile Pietro Ciampi) fino ai compositori classici (Igor Stravinsky e Gustav Mahler) passando per gli autori francesi da Brassens a Gainsbourg fino a tornare al Belpaese per rubare le atmosfere dense di Ennio Morricone (a questo proposito gli spartiti per l’orchestra sono stati scritti da Ennio Gabrielli, un musicista che da anni lavora per i Calibro 35). Il cinema è evidentemente una figura importante nel lavoro e viene ripreso anche nella copertina che omaggia Nicoletta Elmi (attrice in Profondo rosso).

Nonostante questo calderone di ispirazioni (del resto sempre lo stesso da Sussidiario illustrato della giovinezza) il lavoro è omogeneo e curato nei minimi particolari. La volontà di rimanere nel pop è sottolineata anche dl missagio dove la voce di Bianconi risulta molto più alta della base musicale (oltre che dalla mancanza quasi totale di dissonanze). Le canzoni (diciannove con tredici tracce e sei intermezzi) sono unite sia tematicamente che musicalmente fra loro tanto da formare un concept che esplicita la volontà del gruppo di aspirare a una forma alta di composizione. In un panorama musicale nostrano dove si è costretti a scegliere fra canzoni da radio e produzioni indipendenti i Baustelle prendono una via di mezzo, senza per questo scendere a compromessi (Contà l’inverni è per esempio una canzone cantata in romanesco) e presentano un lavoro studiato che li rende, di nuovo, nel bene o nel male, uno dei gruppi più interessanti sulla piazza.

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