Morte a credito

Sono stati in molti nel recensire il lavoro di Karim Qqru a scrivere che questo non è un album fatto per svago. Certo, i motivi per crederlo c’erano tutti. Qqru, infatti, per chi non lo sapesse è il batterista degli Zen circus e con loro ha da poco terminato un tour per la promozione dell’ultimo album Nati per subire. Sembrava assurdo pensare che fra una data e l’altra il batterista potesse avere il tempo di scrivere canzoni. A ben guardare però il fatto non è isolato perché Andrea Appino (il cantante degli Zen circus) anche lui (ma a marzo) presenta il suo primo lavoro solista. Evidentemente nei tour c’è più tempo libero di quanto si pensi. In ogni caso, trattare Morte a credito, questo il nome dell’album di Qqru, come un progetto di divertissement o meno è non dire niente e non rendere giustizia a un lavoro. Ci sono album perfetti nati come evasione e album orribili pensati e registrati nel corso di anni. Ecco, Morte a credito sta nel mezzo.

L’album sembra una fotografia della nostra musica contemporanea. Il lavoro oscilla fra vari generi musicali senza mai prendere una posizione decisa, le sue influenze diventano regole usate alla lettera per comporre le dieci canzoni del lavoro e il quadro finale è l’indecisione con la quale procede la musica d’oggi: incerta sul passo e fissa con gli occhi sugli specchietti retrovisori. Hardcore anni ‘90, elettronica e new wave con ispirazioni letterarie che vanno da Louis-Ferdinand Céline (vedi il nome dell’album) a Jacques Prévert al quale è stata strappata una poesia e trasformata in canzone (J’ai toujours été intact de dieu). Morte a credito, almeno nella carta, è decisamente orientato al passato.

Nella pratica il lavoro riserva delle sorprese. I maestri di Qqru vengono presi e frullati tutti insieme. Il risultato convince in parte e le ciambelle con il buco sono le canzoni dove i vari stili sono indagati nei loro territori, studiati e sondati nella profondità dei loro confini al punto da trovare un terreno comune, un elemento madre che li unisce e sul quale viene fondata la composizione. Uno studio difficile ma riuscito nella canzone omonima del disco. Le altre tracce sembrano esplorare le linee di confine dei generi ma il risultato convince meno degli intenti. La grandezza di questo album risiede nelle sue multiple ispirazione musicali, culturali e linguistiche (si canta in francese, italiano e sardo) ed è grazie a queste premesse e alla capacità di dipingere la scena musicale attuale che il disco è più di uno svago, anche se, ormai lo sappiamo, questo significa poco o nulla.

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