L’architettura di Mussolini

Nei primi anni Trenta, l’Italia esercitava una forte attrazione verso gli artisti stranieri tanto che Le Corbusier diceva di avere «Un grande desiderio di venire in Italia, veder l’Italia e Mussolini». Nel 1934 il celebre architetto, in Italia per un ciclo di conferenze, visitò le città bonificate dell’Agro pontino-romano con la speranza, per il tramite di Bottai, di essere chiamato come progettista per una città di nuova fondazione. Per leggere gli anni Trenta e la politica delle arti durante il fascismo, tra coercizione e libertà, sono stati pubblicati di recente due volumi che mettono in luce il sistema del sovvenzionamento del regime agli intellettuali e il rapporto di Mussolini con l’architettura. Sia il libro di Giovanni Sedita: Gli intellettuali di Mussolini, la cultura finanziata dal fascismo che quello di Paolo Nicoloso: Mussolini architettorinunciano a dare una definizione univoca di arte fascista in nome di un pluralismo estetico.

Sedita attraverso lo studio dei fondi del Minculpop conservati all’Archivio centrale di stato mette in luce il procedimento della sovvenzione occulta degli intellettuali (tesserati del partito fascista e non) da parte del regime. La richiesta ufficiale partiva da una lettera dell’intellettuale destinata al Gabinetto del Minculpop che a sua volta si rivolgeva al duce che siglava personalmente ogni richiesta approvata e successivamente inviata al capo della polizia per rendere effettivo il sovvenzionamento. Alcuni intellettuali come Cardarelli si propongono esplicitamente come propagandisti di regime, mentre Vitaliano Brancati, all’epoca giovane scrittore promettente, rivendica, in una lettera dai toni confidenziali, il diritto di essere riconosciuto per il suo talento, minacciando Mussolini di partire per l’estero nel caso non gli venisse concesso il vitalizio. Questa attività di sovvenzionamento era tenuta nascosta dal regime, poiché affrontata attraverso i fondi segreti della polizia che venivano utilizzati per precisi scopi propagandistici con la finalità di un vero e proprio reclutamento dell’intellettuale. Esemplare è il caso di Sibilla Aleramo che, da firmataria del manifesto antifascista, ottiene per una lettera strappalacrime al duce, in cui lamenta pene d’amore, ben 5.000 lire, fino meritarsi, dopo essersi presentata in pubblico con la spilla del fascio, l’iscrizione nella lista degli intellettuali che ricevevano il vitalizio.

Il regime si muove ambiguamente tra coercizione e consenso, tra censura e finanziamento occulto: Ungaretti, che riceveva una sovvenzione mensile di 1.500 lire, quando è accusato da un fiduciario del regime di non fare propaganda riceve prima una notifica di revoca della sovvenzione e poco tempo dopo la restituzione dell’assegno. I finanziamenti del regime saranno nota dolente nel dopoguerra per gli intellettuali che come Ungaretti dovranno giostrarsi tra accuse di connivenza e giustificazioni di estraneità.

Paolo Nicoloso nel libro Mussolini architetto mette in luce il giro di vite che nel 1935-36 porta all’accelerazione totalitaria nel regime che comporta un intervento più pervasivo sull’architettura, secondo l’obiettivo di promuovere in tutta Italia indirizzi unitari in architettura per costruire il mito di una nuova civiltà. La posizione di Mussolini prima della metà anni Trenta è ambivalente: da una parte sostiene l’architettura razionalista di Terragni e Michelucci, dall’altra la necessità di ricostruire il mito della romanità per costruire l’identità fascista si concretizza con la promozione dell’arco romano e la serliana, la colonna e l’impianto monumentale. A metà degli anni Trenta, il duce interviene direttamente sui disegni dei progetti vincitori dei concorsi, dal Foro Mussolini all’E42; Ojetti e Piacentini, presenti nelle commissioni di quasi tutti i concorsi, portavano avanti l’obiettivo di dare unità di scelte stilistiche all’architettura italiana: caso emblematico l’Arengario di Milano, concorso vinto da Giovanni Muzio, il cui progetto viene prima bloccato per aspettare gli esiti dell’E42 e poi modificato dall’intervento di Piacentini che inserisce l’elemento dell’arco romano, lo stesso del palazzo della Civiltà italiana a Roma.

L’indirizzo unitario in architettura si presenta nel palazzo di Giustizia di Milano e in quello di Palermo, nel palazzo delle Assicurazioni generali di Trieste e nel Banco di Roma a Napoli. La presenza di sacche di resistenza razionaliste (Figini, Frette, Michelucci, Pollini, Terragni) palesano il totalitarismo imperfetto del regime fascista. Nonostante la dittatura intervenga direttamente per promuovere un’architettura fatta di indirizzi unitari che guarda al classicismo, anche negli edifici si afferma quel pluralismo estetico che ha caratterizzato la vita delle arti figurative nel decennio preso in considerazione.

Paolo Nicoloso, Mussolini architetto, Einaudi, 2008

Giovanni Sedita: Gli intellettuali di Mussolini, la cultura finanziata dal fascismo, Le lettere, 2010