Il quattordici dicembre si è tenuta la presentazione a Venezia all’interno della galeria dell’Accademia, dell’ultimo libro di Carlo Giovanelli; dopo il Debuttante esce infatti Nel mezzo della Tempesta. Un giorno a Venezia, come in un sogno, pubblicato dalla Maretti editore. Come protagonista di un’avventura paradossale, il principe invita i lettori ad approfondire le interpretazione che cercano di svelare il mistero celato tra le immagini e i colori della Tempesta del Giorgione, quadro che prima di essere di proprietà dello stato, rientrava tra gli averi della famiglia Giovanelli dal 1875. Ritornando fanciullo, come fosse in un sogno, il principe percorre e attraversa l’opera alla ricerca di un senso tra innumerevoli dettagli. Nella realtà, facendo un passo indietro nel corso della trama si ricorda che l’opera è appartenuta fin dal 1532 a Gabriele Vendramin e che in seguito è finita nella mani e quindi all’interno dei palazzi Veneziani di Cristoforo Orsetti e Girolamo Manfrin.
Nel 1875, per l’appunto, la Tempesta viene acquistata per ventisettemila lire dal principe Giuseppe Giovanelli finché il figlio Alberto e la sua consorte, la principessa Marianna Giovanelli dei Serego-Alighieri, i nonni di Carlo, la proposero allo stato per circa dieci milioni di lire, che poi si tramutarono in cinque. L’opera così è diventata proprietà della galleria dell’Accademia di Venezia.
L’oscura tela di Zorzi di Castelfranco, ritenuta la prima vera testimonianza di paesaggio nella pittura italiana viene riletta come simbolo della grandezza della natura sulla finitezza umana. Vissuta nell’irruenza selvaggia di una tempesta è la ricerca di una verità onnipotente al di là del tutto nel reale. Lo stile con cui Carlo Giovanelli affronta l’argomento ha l’ineffabile capacità di raccontare con fluidità vari livelli simbolici e di significato che si legano alla straordinaria opera del Giorgione. Intervenuto all’evento di presentazione del testo, il professore Cosimo Mero che ha curato le ricerche storiche e artistiche dell’opera letteraria, racconta, ripensando al viaggio intrapreso da Giovanelli all’interno di questa storia romanzata: «Il suo viaggio, richiama anche quello del suo antenato che dall’indignatio per i suoi tempi critici, s’incammina, guidato prima da Virgilio poi Beatrice, per i regni dell’oltretomba. La curiositas, il dubbio, sono i mezzi indispensabili per tale avventura dello spirito proprio come è accaduto al protagonista della Divina commedia».
Dunque, in questo travagliato percorso onirico condotto dal principe si disquisisce insieme ai lettori delle varie interpretazioni che suscita la vista del dipinto. Leggendo il testo si scopre quale delle tante visioni avesse la famiglia Giovanelli che considerava l’opera come “una bella e moderna natività di Gesù”. Ma c’è chi non è d’accordo, un giornalista per la precisione che risponde perplesso: “Come una natività? Oddio come resta ignoto il sapore del frutto al ramo da cui pende!”. Giocando in un dialogo aperto, lungo lo svolgersi del testo, si riflette sul tema. La tempesta resta comunque velata da un mistero impenetrabile che deve rimanere mistero. C’è chi pensa che essa sia l’illustrazione di un mito o di una leggenda o episodio biblico come Adamo ed Eva, natività; Agar e Ismaele; altri che pensano sia raffigurazione allegorica o una vicenda storico-politica; oppure ancora: espressione delle teorie fisico-filosofiche insegnate nelle scuole padovane e veneziane.