Campo 100535 B/N

«Sono un costruttore, ma questo proprio non lo riesco a capire» dice sorridendo un uomo sulla quarantina, che alla fine del percorso in mostra si rivolge a Shay Frisch intuendone l’artefice. «È solo l’idea di mettere insieme tutto!» continua guardandosi intorno, poi scende le scale e lascia la sala. Campo 100535 B/N è la prima mostra personale che l’artista israeliano porta a Roma. Curata da Achille Bonito Oliva, l’esposizione occupa tre sale della Gnam e mostra una politica ormai riconoscibile nei lavori di Shay: parlare dello spazio servendosi della composizione luminosa. Vari moduli di normalissime prese elettriche sono assemblate l’una nell’altra. Apparentemente tutte uguali, le singole prese si differenziano in elementi “liberi”, “strutturali”, “volanti” e “luminosi”, ma ciò che vedono gli osservatori è molto meno analitico e ha un impatto immediato: quadri di spine elettriche ricoprono la superficie di intere pareti e a seconda degli elementi che Shay ha deciso di inserire o meno in un quadro, una leggera scia luminosa sprigiona la sua energia colorata.

Generare un campo elettrico è lo scopo dell’artista, che attraverso la correlazione di semplici elementi, racconta il potenziale inespresso di una carica elettrica e del suo circuito, muto e represso se non trova uno sbocco. Ogni quadro elettrico scarica la sua corrente tramite un normalissimo cavo, ma se l’intero quadro di prese in questione è mancante dell’elemento luminoso, (quella spia arancione che ci avverte se la corrente è accesa o no), quel quadro resta muto, spento. Una scultura a parete di plastica che mostra solo se stessa: prese di corrente l’una nell’altra. Il primo impatto è lo stupore di non trovare neppure una fonte di luce. Talmente abituati a razionalizzare la componente elettrica nella sua piccolezza, potremmo restare spiazzati all’idea che cento spine, così assemblate, non disperdano nulla. Il punto è proprio questo: non c’è dispersione di energia dove non c’è uno sbocco. Una via di uscita. Le scie luminose che segmentano gli altri quadri sono tutto ciò che circola all’interno di quel modulo. Poi è Shay a scegliere, relativamente alle possibilità della composizione a incastro, se dar vita ad una luce verticale, diagonale oppure orizzontale.

L’ “idea di mettere tutto insieme” è assolutamente reale: si organizzano un eccessivo numero di campi elettrici per esplorare lo spazio, esasperando la semplicità di un circuito comunissimo. E costosissimo, si potrebbe pensare. Ma alla domanda di quanto consumo è stato rilevato per raccontare l’invisibilità di un’energia così rapida, la risposta è ovvia: non c’è consumo, poichè non c’è dispersione, se non quella appena accennata dalle spie. Cosa ci resta, dunque? La scoperta di una piccola intimità. L’arte cinetica, quando nasce negli anni ’20 e poi torna negli anni ’60, andava al passo con la tecnologia, simpatizzava l’era moderna. Si esprimeva per venire incontro ai mutamenti e ai movimenti della società, per raccontarli alla velocità della luce. Oggi sembra un’arte malinconica, che interagisce in un mondo più grande di lei, in cui vivere i cambiamenti della contemporaneità può voler dire semplicemente accendere il computer di casa. Gli stimoli che abbiamo raggiunto dal mondo esterno sono troppi, sono eccessivi. Talmente tanti da sentire il bisogno di raggrupparli tutti per arrivare a riconoscere quello più intimo e semplice; quello appena illuminato.

fino al 27 gennaio 2013

Galleria nazionale d’arte moderna e contemporanea, viale delle belle arti 131, Roma

info: www.gnam.beniculturali.it

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