Benedette foto!

Claudio Abate conosce Carmelo Bene nel 1959 da Notegen, locale romano frequentato dai creativi più promettenti di allora e che si trovava fra piazza di Spagna e piazza del Popolo. Abate, artista di livello internazionale, parla delle prime impressioni su Bene: «L’ho incontrato in questo bar che aveva i migliori vini e i migliori champagne di tutta Roma: era una personalità coinvolgente, un grande parlatore, ho trovato in lui un personaggio interessante fin da subito». Dal ‘63 fino al ’73 Abate diventa il fotografo di scena di Carmelo Bene. A palazzo delle Esposizioni a Roma la mostra Benedette foto!, a cura di Daniela Lancioni e Francesca Rachele Oppedisano,  circa 120 fotografie in bianco e nero e a colori testimoniano l’attività teatrale e cinematografica del regista e attore. Il titolo della mostra è tratto da una frase riportata nella prima autobiografia di Bene in cui parla della rappresentazione Cristo ’63 e delle fotografie scattate da Abate, presenti in questa personale, che lo scagionarono dalle accuse di oltraggio, atti osceni in luogo pubblico e vilipendio, dovute alla messa in scena della pièce. È stata la prima volta che i due hanno collaborato e quelle esposte sono le uniche immagini che testimoniano lo spettacolo in scena solamente quella sera del ‘63 al Teatro Laboratorio, chiuso dopo poco.

Intellettuali come Pasolini, Elsa Morante e Alberto Moravia frequentavano gli happening di Carmelo Bene: «Ogni tanto venivano a vedere gli spettacoli – dice Abate – e forse erano i più interessati. Non c’era un pubblico numeroso. Mi ricordo anche Antonioni e Monica Vitti. Con gli amici del teatro, poi, andavamo a cena fuori, c’era uno scambio di idee e giocavamo a scopone scientifico». Gli spettacoli documentati attraverso le foto inedite dell’artista sono dieci da Faust e Margherita a Pinocchio ’66, a Il Rosa e il nero a Salvatore Giuliano vita di una rosa rossa, al Don Chisciotte, a Nostra signora dei turchi, fino a Arden of Feversham (che è stato il lavoro di debutto nel 1968 del teatro Carmelo Bene in via del Divino Amore a Roma). In queste rappresentazioni si passava dalla storia alla favola, dal riferimento a un carattere lascivo all’immaginazione introspettiva. La storia della Salomè di Oscar Wilde ha poi ispirato al regista uno spettacolo teatrale del 1964 e un lungometraggi del 1972,  entrambi ricordati in questa mostra.

Nel film c’è una sfida intrapresa da Carmelo Bene con se stesso, all’interno delle sue sperimentazioni, per quanto riguarda l’uso del colore, sfida che Abate traduce in piacere estetico nei contrasti: «Quel film lo ha realizzato in un anno e mezzo. Si è inventato questi colori catarifrangenti, sui vestiti, sugli oggetti, che davano il senso di una cromia molto accesa». Ma la maggior parte delle fotografie nate della collaborazione fra i due sono in bianco e nero, in queste c’è un uso della luce, talvolta con un accento caravaggesco, che spesso mette in evidenza, al contrario, l’ombra. «Ho messo le mie luci – dice il fotografo – e vedendo molti quadri del passato mi è venuto spontaneo ridare questi neri profondi». A guardare con attenzione le foto si nota la capacità nell’immortalare, anche in scene complesse con più personaggi, l’espressività di ogni volto, nel saper cogliere l’attimo e il rapporto fra figura umana e scenografia. All’inventività di Carmelo Bene si è aggiunta la creatività del fotografo Abate la cui abilità è sottolineata dal fatto che non c’erano prove «era tutto improvvisato – ricorda l’artista – Carmelo portava spesso i costumi di scena lo stesso giorno dello spettacolo».  Un’improvvisazione totale, quindi, sia dal punto di vista attoriale che dal punto di vista del lavoro fotografico.

Si incontrano molti primi piani, intorno agli attori si erge il buio della scena che contrasta con i volti illuminati: “Sono più interessanti i personaggi che il totale, fanno più effetto, colpisce dove c’è più movimento” dichiara il maestro nell’intervento critico di  Daniela Lancioni. Abate abbraccia diverse tipologie di fotografia: quella di scena, la fotografia artistica e la fotografia di opere di altri artisti, «Riguardo alle foto di scena sono un testimone – dice – e ho cercato di riportare in maniera più precisa possibile ciò che ho avuto di fronte. In questo caso e nelle fotografie d’arte sono più libero, mentre quando dò una testimonianza del lavoro altrui cerco di interpretare il punto di vista dell’artista». In mostra tutte le fotografie in bianco e nero sono state stampate a mano da negativi su carta baritata ai sali d’argento e ritoccate da Abate a eccezione di quelle di Cristo ’63 i cui negativi vennero sequestrati dalla magistratura. Le immagini a colori sono acquisizioni digitali da diapositive stampate a getto di inchiostro su carta baritata. È stato realizzato il catalogo edito da Skira.

fino al 3 febbraio

Palazzo delle Esposizioni, via Nazionale 194, Roma

info: www.palazzoesposizioni.it

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