Solo per capire di cosa stiamo parlando è giusto che sappiate che Mario Schifano chiamava la televisione sua musa ausiliaria. In quell’ausiliaria c’è tutta la differenza che passa fra il pittore italiano e Andy Warhol. Per Schifano, la Tv, la pubblicità e la radio erano un punto di partenza che andava reinterpretato, per il padre della pop art, ma questo si sa, no. I media nelle mani dello statunitense erano l’inizio, la fine e lo scopo di ogni opera. Tanto per intenderci Schifano trattava la comunicazione come Courbet usava la fotografia: un’amante splendida alla quale non si può negare nulla. Un’amante, appunto, perché il vero amore è un’altra storia. Per quanto se ne dica in giro il cuore del artista italiano batteva solo per la pittura. A niente sono servite le distrazioni che gli anni Sessanta e Settanta hanno prodotto come la Polaroid, la televisione, il rullino della macchinetta fotografica a colori e ultime, ma non per importanza, le droghe, tutte.
Questo solo per dire che a Torino, nella galleria In arco c’è una mostra tutta dedicata alle fotografie di Mario Schifano e gia vediamo chi esalta la grande anima pop del Belpaese. L’esposizione torinese invece, dimostra bene la doppia natura dell’artista che se da una parte poteva (e può) considerarsi pop, dall’altra invece non solo non lo è ma si presenta come il suo diretto opposto. Schifano insomma, critica; Schifano interpreta sempre. In mostra, quindi gli scatti dell’artista fatti alla sua musa ausiliaria, a casa, seduto sul divano dove passava ore e ore davanti al televisore a scattare fotografie a dio solo sa cosa. Un consumo di rullini da studio fotografico. Gli scatti una volta fatti sviluppare tornavano nelle mani del creativo e se per Warhol l’opera poteva dirsi chiusa, è qui, invece, che il nostro cominciava a lavorare. Per qualche motivo Schifano sentiva di aggiungere qualcosa a quelle foto che evidentemente considerava incomplete.
Deformazioni, sottolineature, cancellature e tutto quello che si può fare con una fotografia e dei colori. L’artista portava i suoi scatti nello studio dove aggiungeva particolari e colori inesistenti o marcava ciò che era gia presente. La foto una volta entrata nell’atelier non ne usciva come era entrata. La pratica ricorda quella di Arnulf Rainer che con l’autoscatto tentava di catturare il suo volto nell’espressione più tesa possibile. Ma una volta visti i risultati, scontento, tracciava delle linee di colore violente per rendere l’idea dello sforzo fisico che si era imposto nel momento della foto. Polaroid quindi e fotografie classiche nel percorso espositivo che segnano il volo incauto del grande artista. Un materiale immenso quello che ha lasciato Schifano ai suoi posteri (e che regalava come le caramelle ai bambini) tanto che non puoi dirti romano se non hai almeno una sua foto in casa.
fino al 16 febbraio
Galleria In arco, piazza Vittorio Veneto, Torino
info: www.in-arco.com