Maurizio Mochetti a nudo

L’artista romano Maurizio Mochetti, classe 1940, si concede in una lunga intervista con Daniela Lancioni nella cornice di villa Carpegna, sede della Quadriennale di Roma, per il ciclo L’arte negli anni ’70 le parole e le immagini. Mochetti, presente nello scenario artistico sin dalla metà degli anni Sessanta, si dedica a un percorso di ricerca pionieristico sempre più rivolto verso sperimentazioni con la tecnologia. I primi progetti presentano identità complesse quali la luce, protagonista anche delle prime esposizioni alla galleria la Salita di Roma. Nel dialogo Mochetti racconta e si racconta usando aforismi e provocazioni ben gradite alla sala stracolma della Quadriennale; nel parlare della continua fascinazione scaturita dal rapporto tra arte e tecnologia, ribadisce l’unicità dell’arte, da intendersi come strumento, non come fine.

In questo senso la tecnologia è sempre stata nell’arte e per l’arte, ai tempi di Michelangelo, ad esempio, il martello e lo scalpello erano il massimo della tecnologia. «Impossibile per me discostare arte e tecnologia – dice – è inevitabile usare la tecnologia odierna, altrimenti sarei un nostalgico», ribadisce, riprendendo quanto aveva già dichiarato anni fa in un’intervista con Paolo Vagheggi. L’intervista prosegue con lo scorrere di una serie di immagini, che raccontano di mostre, sperimenti e progetti portati in Italia e nel mondo. Mai possibile trovare un punto mediano di tutta questa vasta produzione? «Ho messo il baricentro nella galleria Editalia» dice ironico ma forse vi è un margine di verità. Una donna un giorno disse all’artista «Il baricentro è il nodo cruciale dello spazio, se lei mette una bomba lì casca tutto», a detta di Mochetti «Aveva capito tutto!». Qualche altra considerazione viene fatta sulla funzione di un’arte provocatoria in grado di smentire anche le certezze della fisica «Faccio conoscere quello che esiste, ma non si vede, in fondo è tutto un equilibrio instabile, ora per esempio, potrei alzarmi, andarmene e mettere fine al nostro incontro – continua l’artista – con Specchietto, ho messo in scena la luce, smaterializzando al contempo l’oggetto che tutti pensavamo di vedere e conoscere; in quell’unico punto di riflesso della luce sullo specchio, infatti, l’oggetto si smaterializza, é un punto prestabilito».

Parlando poi della freccia che puó ruotare di 360 gradi all’altezza degli occhi, sottolinea che la sua forza è data dall’indicare tutte le direzioni ed «esser dunque un’antifreccia». L’opera Contapersone del 1970 esposta in molti luoghi in Italia e all’estero, dalla galleria del Cortile nel 1975, alla Kunstalle di Colonia anni dopo viene così ricordata «Avevo allestito una mostra con le opere della galleria, feci il filmato dei contatori che via via aumentavano a ogni persona che entrava, per poi ri-diminuire per ogni uscita. Il numero si riassestava e tornava a 000! Come nello spazio. Con Mare rovesciato, invece, lavoro del1974 sono stato molto scontato, una foto di cielo-mare, essenza e concetto. Claudio Abate tuttavia, sa quanto sia stato difficile fare una foto così banale, un mare senz’onda, un cielo senza nuvole». Le ultime riflessioni, dopo quasi due ore di intervista, vengono fatte sulla mitica opera Lotus & Lotus del 1979 esposta da Ugo Ferranti. Mochetti allora aveva una Lotus, da quella ne aveva costruita un’altra un poco più piccola, identica e funzionante, sulla quale veniva riportato, in aggiornamento costante, ogni piccola cosa avvenisse sulla grande, dal graffio, al vetro sporco alle riparazioni al motore. «Quando stavo sulla grande, a 12 metri di distanza mi seguiva la piccola, che vedevo ancora più piccola nello specchietto retrovisore».