Diario fotografico

Monforte d'Alba – (Cuneo)

La fotografia si mette a confronto attraverso le immagini di due tra i più grandi protagonisti del fotogiornalismo italiano: il reporter milanese Mario Dondero e il fotografo antropologo Pepi Merisio. Questo dialogo visivo è al centro della mostra Pepi Merisio/Mario Dondero. Diario Fotografico, che si svolge fino al 28 ottobre presso la fondazione Bottari Lattes di Cuneo. La (eventuale) morte del fotogiornalismo è da sempre un tema caro a pubblico e critica: immagine e informazione, il delicato ruolo del fotoreporter nell’era digitale e l’evoluzione tecnologica che ci rende tutti un po’ “artisti” sono alcuni degli argomenti su cui riflette la mostra.

Una sessantina di scatti in bianco e nero: un estratto dell’immenso repertorio di due fotografi che hanno percorso strade, visitato mondi, incontrato persone (dai contadini agli intellettuali), utilizzando uno strumento visivo per scrivere soprattutto pagine di storia italiana e non solo della fotografia. Nella sala al primo piano della fondazione i preziosi vintage di Pepi Merisio e al secondo piano una serie dei più noti ritratti di Mario Dondero.

«Il percorso fotografico di Pepi Merisio e di Mario Dondero – spiega la curatrice Daniela Trunfio  ha in comune un periodo storico, gli anni Cinquanta e Sessanta, e una testata, quella di Epoca, per la quale hanno lavorato entrambi. Ma i punti di convergenza si esauriscono qui. n questo percorso espositivo – prosegue Daniela Trunfio – non ci interessa tanto ragionare sulle icone che rendono celebri, con il rischio di penalizzare una vita dedicata alla fotografia. Qui vogliamo esaltare le personalità di due grandi che hanno utilizzato uno strumento visivo per scrivere indimenticabili pagine di storia non solo della fotografia».

Per godere appieno della mostra bisogna farsi osservatori attenti dei dettagli contenuti nei reportage di Merisio, come degli sguardi complici dei ritratti di Dondero, e considerare come la lentezza, caratteristica imprescindibile che entrambi hanno nel loro Dna, sia la sola in grado di trasformare un singolo scatto in un’immagine oltre l’istante, consegnata a noi contemporanei per riflettere sul futuro. La loro slow photography è un’attitudine mentale, un modo di essere nella fotografia come nella vita. Il loro punto di osservazion è ravvicinato e attento, frutto di conoscenza e frequentazione. La camera è un taccuino prezioso per sè e per gli altri. Una lezione di grande Fotogiornalismo secondo il quale si fotografa solo ciò che si conosce. In una riflessione di Dondero probabilmente sta il compendio di una vita vissuta per entrambi gli autori nella ricerca della verità, attraverso gli scatti: «Ho sempre cercato di essere il più semplice e lineare possibile. E poi non si deve perdere di vista la verità. Mi infastidiscono le costruzioni artificiose. Malgrado tutto, esiste un’autenticità che il fotografo può restituire. Ma occorre essere leale, franco, generoso».

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