Incontro con Michele Zaza

Ancora un incontro pre estivo, per il ciclo L’arte negli anni settanta le parole e le immagini che si concluderà a novembre, ha visto il fotografo Michele Zaza in dialogo con Daniela Lancioni. La proiezione dei suoi lavori più significativi nel corso dell’intervista, ha consentito al pubblico di cogliere l’essenza delle tematiche da sempre care all’artista, una fra tutte quella del capovolgimento. Come può un artista raccontare la verità ai suoi spettatori per descrivere un’esperienza quasi mistica di ascensione e ridiscesa dalla terra al cielo? In primis, urge il superamento del concetto di morte e di tempo, Zaza ci proverà introducendo elementi di congiunzione, come le scale, simbolici ponti in grado di restituire una continuità ultratemporale tra terra e cielo; inoltre, per dare prova del “capovolgimento” dei piani del cosmo, una mostra emblematica, quella del ’76 da Lucio Amelio, Universo estraneo, dove il pavimento della galleria, cosparso di molliche di pane (stelle simboliche, nonché fonti di sustentamento per chi si trovi a scendere dal cielo), fungeva da cielo e il soffitto, cosparso di sassi, da terra.

Per lunghe mezze ore Zaza rimase appeso a testa in giù, al fine di dare prova di un avvenuto effettivo ribaltamento spazio-temporale. Con Mistico e asceta, ancora un ciclo a testimonianza della ricerca continua di trovarsi in dimensioni altre. Per condividere quest’esperienza l’artista porterà il pubblico della galleria Ugo Ferrante di Roma, in Anamnesi, in un’altra dimensione percettiva dello spazio e dell’opera. Gli spettatori, infatti, trovarono le immagini, di piccolo formato, incastonate solo negli angoli della galleria. Per fruirne, dunque, era necessario rivolgersi a faccia al muro, lasciando che il contatto ravvicinato con l’opera divenisse un intimo rito, prossimo alla preghiera. «Il continuo rifiuto del reale – dichiara Zaza – mi porterà a prender consapevolezza della necessarietà dello stesso». Tra gli altri filoni di ricerca, non va poi dimenticato il periodo di Dissoluzione e mimesi, risalente al 74’, quando alla riscoperta delle origini paterne, Zaza condusse suo padre sulle tracce dei propri avi armeni, rifugiatisi tra i sassi di Matera.

Ed ecco che il processo di Mimesi si compie, lasciando negli scatti quel profondo senso di inquietudine, heideggerianamente da intendersi all’origine di tutto. In questi anni si rafforza la consapevolezza di una “Avanguardia impossibile”, dove la ciclicità nell’arte, come nelle cose del mondo, poteva essere la sola certezza; l’unica soluzione fu quella di partire da sé stesso, dal proprio territorio, in nome di una certa solida autenticità, tutt’oggi attuale e concreta.