Direttore fin dalla prima edizione, Roberto Casiraghi (Genova, 1953) non perde l’entusiasmo e continua a credere nell’affermazione della fiera capitolina nel panorama artistico globale. Al quinto appuntamento, intanto, ne rinnova la denominazione, adesso dal respiro più ainternazionale.
Cominciamo dalle prime due novità di questa quinta edizione. Il nome, Roma contemporary e l’immagine coordinata. Che significato assumono nel percorso di crescita della fiera capitolina?
«Una forma di rinnovamento, una dimostrazione di volontà di proseguire un progetto iniziato cinque anni fa, con determinazione. Il nome della fiera in realtà è solo una semplificazione del precedente, mentre la nuova immagine è un’evoluzione di quella utilizzata negli scorsi anni, con l’inserimento di alcuni elementi grafici che la rendono più attuale. Insomma, una revisione del “look”, ci auguriamo più accativante, per evidenziare la costante evoluzione di un progetto contemporaneo».
Confermata la sede anche quest’anno, ma come si rinnova il progetto espositivo?
«Il Macro Testaccio è una sede di grande fascino che rende Roma contemporary unica nel panorama mondiale delle fiere. Anche la formula di apertura pomeridiana e serale si addice particolarmente a creare un’atmosfera di grande piacevolezza, invitando a “vivere” lo spazio anche oltre la visita alla manifestazione. Il progetto quindi mantiene i suoi punti di forza con l’Arena, i bar, i ristoranti che permettono di assistere ai numerosi incontri ed eventi che vengono organizzati per l’occasione. Viene inoltre sperimentata una diversa formula espositiva in una zona della Pelanda, rivolta ad alcune delle gallerie più giovani e innovative che prevede un allestimento più libero e informale, più da mostra che da fiera».
Come saranno articolate le sezioni “out of range” e “startup”?
«Out of range, curata quest’anno da Chris Sharp, sarà una vera e propria mostra di opere di grandi dimensioni, ma anche “performance”, videoproiezioni, oltre che installazioni e sculture, collocate all’esterno dei padiglioni. “Startup” è la sezione dedicata alle giovani gallerie nate dopo il 2007, che presenterà alcuni degli artisti emergenti più promettenti individuati da Luca Cerizza, a cui è affidata la curatela».
Quali le principali iniziative collaterali?
«L’Arena, un padiglione disegnato da Jereon Jacobs, artista olandese che vive e lavora a Berlino, ospiterà un programma di incontri ed eventi progettato da Kaleidoscope e Nero, due realtà editoriali e curatoriali di particolare interesse internazionale. Cura e Motto, altre due realtà editoriali, una con sede a Roma e l’altra a Berlino, cureranno invece un “bookshop” molto particolare dedicato a libri e magazine d’artista, pubblicazioni realizzate da editori indipendenti, coinvolgendo personalità quali Adam Carr e David Platzker, fra gli altri. Un vaso di pandora di pubblicazioni rare».
Quali sono gli appuntamenti da non perdere? Quali gli ospiti principali?
«Il programma, coordinato da Kaleidoscope, sarà strutturato come lo scorso anno in tre giornate. Il palinsesto di ognuna delle tre giornate sarà concepito in collaborazione con tre centri no profit di alto profilo internazionale: sono stati invitati a partecipare realtà quali Salt, centro di matrice istituzionale con sede a Istanbul; Studiolo, spazio gestito da curatori indipendenti a Zurigo; e 1857, “artist-run space” di Oslo. La scelta nasce dalla volontà di dare voce ad anime diverse, come anche a tre aree geografiche vivaci, dove questi centri sono radicati e influenti. Si tratta di spazi diventati punti di riferimento per le rispettive comunità artistiche tenuti d’occhio anche dall’“establishment” come fondamentali luoghi di ricerca e “talent scouting”. Verranno analizzati, in incontri, interviste e “talk”, le dinamiche e specificità di questi centri e le loro interazioni con il sistema artistico ufficiale. A seguire, nella tarda serata, un programma di “performance” musicali e video, coordinato dalla rivista Nero».
Quali sono le risposte della fiera alla crisi? E quest’ultima ha delle ripercussioni anche nel mondo dell’arte contemporanea e nella manifestazione da lei diretta?
«Non si può certo dire che l’attuale momento economico non abbia ripercussioni anche nel mondo dell’arte. È necessario uno sforzo da parte di tutti, curatori, galleristi, collezionisti, per non lasciarsi pervadere dal sentimento di sfiducia che in questo momento condiziona gli animi di molti. Sono certo che il futuro, mi auguro molto prossimo, non potrà che essere migliore».
Che posto è riuscita a occupare Roma contemporary nel panorama delle fiere italiane e internazionali?
«A livello nazionale, una realtà in crescita. Malgrado il periodo non facile, Roma in questo momento è la città che presenta i segnali di vitalità nel settore dell’arte contemporanea più simportanti nel nostro paese, e la fiera è certamente diventata un appuntamento significativo nel panorama artistico locale e nazionale. A livello internazionale si procede più lentamente; in questo particolare momento storico ed economico, accreditare Roma con una nuova meta del contemporaneo non è impresa facilissima. In realtà questo è un problema che coinvolge tutto il paese e non riguarda solo le singole destinazioni».
Quali sono, secondo lei, gli sforzi in più da fare per farla crescere ulteriormente?
«Una maggiore coesione di intenti e di sinergie da parte dei più significativi operatori locali, sia pubblici che privati, espressa sino ad ora solo in forma embrionale e a corrente alternata. Malgrado le buone intenzioni espresse da molti e messe in pratica da alcuni vedo ancora disomogenea la capacità di coordinarsi intorno ad alcuni appuntamenti di grande rilievo e richiamo, uno dei quali dovrebbe essere rappresentato della fiera, un’occasione ancora non pienamente utilizzata per partecipare e presentare in maniera omogea un sistema dell’arte contemporanea. Una migliore e maggiore capacità di investimento per promuovere e accreditare a livello internazionale l’intero sistema del contemporaneo locale, fiera compresa, sarebbe auspicabile».