C’era un tempo in cui l’Oriente era una terra misteriosa nella quale si potevano vivere grandi avventure e respirare il fascino dell’esotismo che ispirò i romanzi di Salgari. Era il tempo in cui gli impavidi europei, mossi da sete di conoscenza, spirito d’avventura o dall’idea di mirabolanti guadagni, attraversano l’Asia e si spingevano fino a quegli imperi lontani di cui si sentiva così tanto fantasticare: India, Cina e Giappone. Felice Beato fu uno di questi personaggi, a metà strada tra l’avventuriero e l’artista, che nella seconda parte dell’Ottocento per primo immortalò terre lontane ed esotiche, facendo in modo che uno scorcio di estremo Oriente arrivasse a lambire anche la vecchia Europa. Della sua biografia, specialmente nei primi anni di vita, sappiamo poco o niente: data e luogo di nascita incerti, forse 1833 a Corfù, nazionalità contesa tra Italia e Gran Bretagna, poco importa. Il motivo per cui ancora oggi si parla di Felice Beato non è legato alle sue misteriose origini, ma è per il grandissimo contributo dato alla fotografia, mentre quest’arte muoveva i primi passi.
Possiamo infatti parlare di Beato come del primo fotoreporter della storia. A partire dal 1858, apparecchiatura sulle spalle, viaggia in India, Cina, Giappone, Burma (attuale Myanmar) e Corea. A seguito dell’esercito britannico documenta per immagini la rivolta indiana contro l’esercito britannico (1858), la seconda guerra dell’oppio (1860), l’azione americana in Corea (1871) e per primo nei proprio scatti immortala anche l’altra faccia della medaglia delle grandi conquiste coloniali: morti, feriti e corpi caduti sotto i colpi dei fucili, nulla sfugge alla presa del suo obiettivo. Entra a Yokohama nei primi anni in cui l’Impero del Sol Levante apriva le proprie porte ai “barbari” occidentali, regalando al mondo testimonianze inedite e di inestimabile valore di quello che era il Giappone prima del contatto col resto del mondo, diviso tra guerrieri con spada al fianco, affascinanti geisha, nobildonne e signori feudali in portantina, tutti fedelmente immortalati nei suoi bellissimi ritratti.
Specializzato in paesaggi e panorami, riuscirà a rendere realtà i sogni di tutti coloro che, non potendo recarsi in terre così lontane, vedranno per la prima volta il Taj Mahal, il porto di Hong Kong, il tempio del Cielo di Pechino, le strade di Edo, la vecchia Tokyo.
Soprattutto del soggiorno giapponese, durato venti anni, ci restano meravigliosi scatti, talvolta impreziositi da delicati colori applicati a mano all’epoca da artisti locali. Le case da thè, le botteghe della città, i negozi dei rigattieri in cui all’epoca era possibile acquistare splendidi capolavori di arte e artigianato. Le fotografie di Beato regalano ancora agli osservatori il fascino di quella Tokyo lontana, e oggi così come allora ci permettono di ammirare scorci, volti e umanità che non potremo mai incontrare, regalando anche alle nostre fantasie immagini reali ma dal sapore onirico e misterioso.
Fino al 6 maggio
Metropolitan museum of photography, Yebisu garden place 1-13-3 Mita Meguro-ku, Tokyo
Info: syabi.com