«La foto mi solleva dalla necessità di ricordare, giacché i ricordi sono immagazzinati nell’immagine. Invecchiando la foto si carica di significati, aumenta il bagaglio di ricordi in cui ci riconosciamo come fosse valore aggiunto di memoria collettiva. Così ambiguamente la foto mi invita a ricordare, a ricostruire la memoria di quel momento come presente. Mi impone di non temere la memoria a cui non riesco a mettere il guinzaglio, che a volte morde quando meno te lo aspetti, morde fino alle ossa, mi mette davanti cose che non riesco a raccontare. Scopro che la memoria non è un luogo, una piazza, un corso d’acqua, una stanza, un baule che si apre; che i ricordi arrivano, si presentano, mi solleticano e mi sollecitano, mi concedono bellezza e l’attimo dopo non ci sono più; non li evoco, non tornano quando voglio anche se mi appartengono, non si allineano a comando, non li stringo.» Sono parole che ci ha regalato Rodolfo Fiorenza in occasione della sua mostra alla fondazione Volume!, pubblicate sul catalogo presentato. Innamorato della fotografia fin dagli anni ’70, mentre prima aveva frequentato il linguaggio della pittura, è spirato a fine febbraio nella sua casa di Roma.
Fiorenza amava la fotografia in bianco e nero come si legge dalle sue parole rilasciate in un’intervista a Manuela De Leonardis per CultFrame nel 2009: «Nella fotografia a colori c’è una nota di realismo che dà una connotazione troppo forte. Trovo che il bianco e nero, invece, sia assolutamente astratto. Quando parlo di astratto mi viene in mente il dibattito che c’era, nell’Italia degli anni ’50-’60, tra astratto e figurativo. Ovvero tra linguaggio polisemico e monosemico, dove il monosemico è il figurativo, riconoscibile da chiunque. Mentre con il polisemico siamo di fronte all’astratto, liberamente interpretabile. Proprio come la memoria. Un certo tipo di fotografia, ad esempio, soprattutto se supera una determinata data – raccontando magari costumi che sono spariti nel tempo – appartiene all’immaginario collettivo. Non è più della persona o della famiglia a cui è stata scattata, ma appartiene a tutti, proprio perché sollecita a ciascuno le proprie memorie personali.» Nel ’76 ha fotografato i sassi di Matera e trent’anni dopo i camini di fata della Cappadocia, in entrambi i progetti ha conservato un’irresistibile attrazione per le ombre che nel suo approccio al mezzo hanno sempre portato a un discorso sulla memoria, sul ricordo in una situazione spaziale e temporale universale. Autore di ritratti in cui coglieva l’animo degli artisti, da Pizzi Cannella a Nunzio a Gianni Dessì, si è soffermato con particolare affetto sul suo incontro con Nagasawa e sulla prima volta che entrò negli spazi di Volume! grazie a Nunzio nel 1998.
La sua mostra del 2009 in questi spazi, corredata dal suo testo già citato in parte, si intitolava Sulla soglia ed era concepita come una serie di porte attraverso cui perdersi per entrare dentro le immagini fotografiche; la curatrice Doris von Drathen nel catalogo ha commentato così questo lavoro: «Ciò che piuttosto importa a Fiorenza è far vivere la nostra realtà quale soglia verso innumerevoli altre soglie, qualora osassimo aprire una porta dopo l’altra. Egli non smantella i confini del nostro vivere, ma accentua solo i confini di luce ed ombra al di là della nostra consueta percezione, cosicché la nostra salda struttura spazio-temporale comincia a vacillare lievemente e lascia libera la vista su una realtà molto più grande, ovvero su quella “incessante presenza di vita” legata a un’infinita memoria, che rechiamo nell’enorme camera oscura del nostro subconscio.» Rodolfo Fiorenza ha esposto diverse volte al festival della Fotografia di Roma, l’ultima nel 2011 dove ha presentato il suo progetto Ombre. Di segni altrove a cura di Maria Francesca Bonetti. Fra le personali da ricordare quella alla fondazione Pastificio Cerere di Roma nel 2006 e quella alla galleria Trisorio di Roma nel 2007. Ha partecipato alla biennale Internationale pour la photographie d’Art et de recherche a Parigi. Fra i suoi lavori le fotografie del Bernini, del Canova e di Rosso Fiorentino, le immagini degli affreschi del Duomo di Orvieto e della Basilica di Assisi, le testimonianze delle chiese rupestri della Cappadocia.