La creatività d'oltralpe

Philémon è un artista, nato a Bruxelles nel 1980, che vive a Lille, in Francia. Lavora regolarmente con lo scenografo francese Arnaud Verley, con cui forma un duo artistico, e privilegia l’intervento contestuale ricorrendo alle installazioni, fotografie, video e mezzi molteplici. Philémon e Arnaud Verley lavorano insieme dal 2008 realizzando installazioni che spesso e volentieri vedono animali come protagonisti. Attualmente il duo è a Roma per la residenza d’artista che si sviluppa in collaborazione con la città di Lile grazie al progetto sostenuto dall’atelier Wicar fin dal 1837.
Come nascono e si sviluppano i vostri progetti?
«Tra noi due si tratta di un gioco abbastanza complicato, non seguiamo una metodologia. Da dove arrivano le idee, non lo sappiamo bene. Spesso partiamo da un luogo o semplicemente dalla voglia di voler utilizzare un oggetto. Poi è una specie di ping-pong: matite in mano, tiriamo fuori idee, deliri, riferimenti, articoli, riflessioni e tecniche finché siamo tutti e due convinti. Quando abbiamo cominciato a lavorare insieme non ci conoscevamo molto bene, avevamo due universi distinti e non avevamo idea degli argomenti che volevamo trattare. Tuttavia molto rapidamente, fin dai primi incontri, ci siamo resi conto che dalla nostra unione maturavano argomenti che si ripetevano. Ci lasciamo ispirare dalle domande della società: la crisi economica, la fine programmata degli idrocarburi, l’insicurezza ripetuta».
Come interagite con gli ambienti in cui esponete?
«Raramente creiamo dal nulla, rivendichiamo la dimensione contestuale nelle nostre installazioni, ispirate da una cornice che può essere architettonica, storica, politica, sociale. I nostri progetti hanno un carattere variabile, modulabile e si ridefiniscono spesso. Se la galleria è assimilata al cubo bianco, lo spazio urbano implica altre costrizioni, un’immersione nel reale, un sorpasso di ciò che è messo in vista».
In che modo la città di Roma sta arricchendo il vostro percorso creativo?

«Arrivando qui ci siamo interrogati sulla dimensione di eternità della città, coi suoi strati di storie e la sua ricchezza patrimoniale secolare. Come e cosa creare ancora davanti a tanta opulenza, davanti a questo prestigio, davanti al peso della storia? La nostra posizione è stata quindi quella di evocare l’azione e il senso dell’Arte povera. Inoltre ci siamo anche ispirati dall’ideale dell’utopia povera come si ritrova nel filosofo e scrittore francese Jean-Christophe Bailly. Un’utopia svuotata della grandezza che ci appare calzare nel contesto romano attuale».
A quali artisti vi ispirate?
«Potremmo citare Francis Alÿs, Joseph Beuys, Thomas Hirschhorn o anche Caravaggio ma onestamente preferiamo citare dei giovani artisti con i quali ci relazioniamo regolarmente. È il caso dell’artista svizzero-tunisino Ismail Bahri o di Mathieu Tremblin che considera nella sua pratica artistica il rapporto con la città e il territorio. Tuttavia, questo gioco di filiazione artistica può talvolta essere ingannevole. Prendiamo l’esempio di Roma: Kounellis c’influenza più o meno di un sosia di Michael Jakson, così come un uomo vestitoda statua della Libertà a piazza del Popolo che raccimola denaro davanti a una chiesa del diciasettesimo secolo? Sono le gioie della post-modernità».

Info: www.societevolatile.eu; www.arnaudverley.fr