La stravagante artista giapponese

Si contraddistingue per un lavoro carico di contenuto autobiografico, psicologico e sessuale, la stravagante artista giapponese, Yayoi Kusama, protagonista della mostra alla Tate modern di Londra, dal 9 febbraio al 5 giugno 2012. La retrospettiva, seguendo un andamento cronologico ha la capacità di far emergere i momenti significativi della sua carriera, dedicando attenzione a quegli idiomi che caratterizzano la sua energetica forza creativa, come anche alla sua recentissima produzione. Yayoi Kusama (1929) è probabilmente una delle artiste giapponesi viventi più conosciute. La sua ampia produzione spazia dalla pittura alla scultura, dall’installazione alla performance. Nata in un paese di provincia, inizia molto giovane a dedicarsi all’attività artistica. Dopo l’iniziale studio sulla pittura Nihonga (la pittura tradizionale giapponese), frustrata da quello stile convenzionale e distintamente nazionalista, si avvicina all’avanguardia europea e americana. Nei lavori su carta degli ani ’40 e ’50, l’artista utilizza diversi tipi di media, dall’inchiostro al pastello, dall’acquerello alla tempera, esplorando costantemente le potenzialità del colore e iniziando ha elaborare quel personale vocabolario di forme che caratterizza tutto il suo lavoro.

Incoraggiata da Georgia O’keeffe, si stabilisce negli Stati Uniti nel 1957 radicandosi nella scena artistica newyorkese. All’inizio della sua permanenza risentirà dell’influenza dell’espressionismo astratto, come si può vedere dalle tele di grandi dimensioni conosciute come Infinity net (la cui ispirazione proviene dalle allucinazioni di cui soffriva da bambina), in seguito l’artista prenderà parte al movimento della pop art. Nel 1962 accanto ai lavori di Warhol, Oldenburg, Segal e Rosequist, espone le Accomulation sculptures, o Sex obsession series, oggetti la cui superficie è ricoperta da falli di tessuto imbottito. L’anno successivo espone alla Gertrude Stain gallery, Aggregation: One thousand boats show, è la sua prima istallazione immersiva che occupa l’intera stanza. Aderì alla controcultura del movimento hippie e conquistò l’attenzione dell’opinione pubblica organizzando una serie di Body Festival, dove dipingeva i corpi nudi dei partecipanti con pois dai colori sgargianti. Queste azioni sono in parte documentate nel video, presente in mostra, Kusama‘s self-obliteration (1967). Un’ampia selezione di documenti d’archivio, che comprende flyers, ritagli di giornale, fotografie, lettere e pubblicazioni, sono memorie che dimostrano la singolarità di Kusama e come il suo lavoro, aprendosi alla performance, alle installazioni e agli happenings, si collochi al di là dei tradizionali limiti imposti delle gallerie. Fin dall’inizio la documentazione visuale è parte integrante della sua attività artistica. L’artista ama fotografarsi davanti ai suoi stessi lavori, catalizzando in questo modo l’attenzione sulla presenza dell’autore nell’opera. Così facendo, Kusama è come se avesse creato una sorta di suo mondo personale, posizionando se stessa al centro di questo.

Traumatico fu per lei il confronto con la scena dell’arte giapponese, conservatrice e molto distante da quella di New York, al ritorno nel suo paese nel 1973. Dal 1977 è volontariamente ricoverata in un ospedale psichiatrico, dove vive ancora oggi continuando a produrre splendidi lavori. Ha iniziato inoltre una carriera letteraria pubblicando romanzi, poesie ed un’ autobiografia. La sua produzione degli ultimi trent’anni si costituisce per un ritorno alla pittura, dove predomina la ripetizione e l’uso di colori forti, una ripresa della scultura oltre che di installazioni immersive. Proprio con due di queste seducenti e strabilianti installazioni, che occupano e modificano lo spazio dell’intera sala, si chiude l’esibizione. Evidentemente il confinamento ha aiutato a incanalare la sua incontenibile creatività, come testimoniano i suoi recenti lavori, vistosamente barocchi, come per esempio l’ampio progetto pubblico installato nei giardini di Tuileries di Parigi. Invece nel mese di luglio, in coincidenza con l’arrivo negli States della sua retrospettiva al Whitney museum, si avrà modo di vedere i lavori frutto della sua recente collaborazione con Marc Jacobs, per Louis Vuitton. Solo recentemente, dopo un lungo periodo di oblio è stato ricollocato il suo ruolo nel panorama delle stelle dell’arte grazie alla protezione di Gagosian. Questa mostra contribuisce così a valorizzare degnamente una delle artiste i cui lavori mantengono ancora una potente freschezza, caratteristica questa, che contraddistingue solo pochi altri artisti.

Fino al 5 giugno
Tate Modern, Bankside, London SE1 9TG
Info: www.tate.org.uk/modern/exhibitions/yayoikusama/default.shtm