Antonio Arévalo, classe ‘58 , ha una personalità poliedrica. E’ poeta, traduttore, ha lavorato per il teatro, organizza eventi ed è curatore d’arte indipendente. Nato a Santiago del Cile, all’età di 16 anni a causa del golpe è arrivato esule in Italia, ma è sempre rimasto legato al suo paese come ricorda: «Sin dal primo momento ho mantenuto una assidua corrispondenza con persone della mia generazione. Ho stabilito un contatto con chi aveva i miei stessi interessi, con quelli che la pensavano come me e facevano nella loro vita un percorso d’arte.» Il suo excursus lo porta nel 2001 a essere scelto come curatore del primo padiglione del Cile per la 49° edizione della Biennale d’arte di Venezia. Così parla della sua esperienza: « Ho voluto raccontare al mondo qual era il nostro passaggio verso la contemporaneità. Ho scelto di farlo con Juan Downey, pioniere della videoarte che ha vissuto a New York dagli anni ’60, nello stesso periodo in cui si muoveva nella scena newyorkese Nam June Paik. Downey nonostante vivesse nella Grande Mela aveva una grande coscienza latino-americana. Ho voluto presentare lui e la giuria internazionale ci ha dato una menzione d’onore.»
Arèvalo è tornato in Biennale nel 2009, così ne dice: «Ho avuto di nuovo la possibilità di curare il padiglione cileno che è stato rappresentato da un artista giovane nato sotto la dittatura e che abitava anche lui a New York, Ivan Navárro, uno dei più bravi della sua generazione.» Navárro ha realizzato un lavoro socio-politico come è nelle sue corde, lavoro composto di tre parti: 13 porte prospettiche illuminate da neon, una bicicletta i cui pedali illuminavano tubi fluorescenti collegata a un video in cui si vedevano le luci di New York in contrasto con le luci attivate dalle pedalate, e infine una scultura circolare in cui la parola “bed” sembrava ripetuta all’infinito. Arévalo nel 2011 è stato Commissario del Padiglione del Cile alla 54° Biennale d’arte di Venezia, così commenta: «Avevamo deciso di raccontare un momento cruciale per il nostro paese, il terremoto che era avvenuto da poco, e lo abbiamo fatto attraverso un artista che abita a Barcellona e che ha sempre lavorato su questi fenomeni, Fernando Prats.» Il primo approccio di Antonio all’arte è avvenuto attraverso la poesia come ricorda:« Ho cominciato a scrivere a 18 anni e ho pubblicato a 21. Ho iniziato con la poesia per imporre una mia personalità che mi distinguesse dall’essere semplicemente uno straniero, un esule.» Ha partecipato a convegni in tutta Europa di poeti cileni in esilio. Così ha conosciuto Roberto Bolaño di cui dice: «ho capito che lui aveva la mia stessa fame di conoscenza e la volontà di capire cosa era successo nel nostro paese e come continuava la creatività in Cile.» Un altro interesse è stato quello per il teatro, soprattutto il teatro immagine. Ha scritto diversi adattamenti come la Storia dell’occhio di Georges Bataille. In tutto ciò ha iniziato a organizzare grandi eventi artistici nella città di Roma perché, come spiega: «percepivo una grossa carenza di grandi manifestazioni e una chiusura all’arte contemporanea. Dovevo fare qualcosa. Ad esempio nel ‘93 in piena guerra del golfo vedendo la mancanza di strutture e di finanziamenti da parte del comune e del ministero ho utilizzato un supermercato dove ho fatto esporre 40 artisti contemporanei nella mostra Supermercarte portando avanti l’idea che l’arte contemporanea è un prodotto di prima necessità.»
Arévalo ha una sua linea curatoriale, come precisa: «Sto cercando di individuare personalità artistiche della stessa generazione, tutte nate intorno agli anni ’70, attive in tutto il mondo e le sto proponendo con un progetto che si chiama A pari passo. Sono artisti che stanno arrivando sulla scena internazionale con la stessa energia, la stessa propositività, con la stessa personalità, la stessa aggressività e le stessa poetica; sono sloveni, francesi, brasiliani, cileni e hanno uno stesso piano progettuale. Ho cominciato con la mostra a Torino alla galleria Novalis contemporary art dal nome A pari passo 1 le città. Qui mi sono concentrato su Primož Bizjan, Marlon de Azambuja, Patrick Hamilton le cui opere erano incentrate sulla città e le architetture.» Lavora e ha lavorato con gallerie che privilegiano soprattutto la ricerca e la sperimentazione come VM21 e Furini arte contemporanea a Roma, la Prometeogallery e Federico Luger di Milano, o Artecontemporanea a Bruxelles. Ivan Navarro ritorna nel percorso di Arévalo che cura la mostra "Nacht und nebel" dell’artista alla fondazione Volume! di Roma. Il titolo dell’esposizione in italiano si legge: nella notte e nella nebbia e allude alle sparizioni di persone dopo il decreto emanato da Adolf Hitler nel dicembre 1941 per chi avesse compiuto atti contro il Terzo reich nei territori occupati. Il riferimento nasce dal lavoro L’oro del Reno di Richard Wagner dove è citata la frase. Di conseguenza gli abiti dei prigionieri politici nel campo tedesco di Struthof-Natzweiler erano marchiati con la sigla NN che poi richiama l’appellativo dato ai desaparecidos latinoamericani: non ci scordiamo che Navarro è cileno. L’interesse si concentra inoltre su Roma nel periodo fra settembre 1943 e il giugno ’44 durante l’occupazione nazista e i bombardamenti. La mostra si compone di sette pozzi in mattone contenenti neon curvati che disegnano queste parole: odio, occhio, ecco, eco, ex, becco ed eccidio. La particolarità è che le scritte sono visibili unicamente tramite una specchiatura.
Fino al 5 maggio
Fondazione Volume! via di san Francesco di Sales 86/88, Roma.
Info: 066892431
www.fondazionevolume.com