Orozco, giochi e paradossi

Ariel Orozco, artista cubano classe 1979, torna alla Federica Schiavo gallery per la seconda volta nel giro di tre anni con una personale che si afferma come prosieguo della poetica presentata a Roma nel 2009. Fanno ritorno infatti nelle sale della galleria di piazza Montevecchio atmosfere sospese ispirate da installazioni contraddittorie e anomale, giochi di paradossi che mai si rivelano però nonsense.

Il messaggio che Orozco lancia è profondo, celato dietro immagini dai significati apparentemente inespugnabili: mille bicchieri riempiti di sabbia fino all’orlo sparsi nell’ambiente centrale della galleria sembrano invece tante pozzanghere, un a bottiglia di chamoagne dalla bottiglia il cui vetro è disseminato di crepe che potrebbe frantumarsi da un momento all’altro. Rimandi tra i concetti di carenza e abbondanza sono anche quelli cui alludono tantissime pilette di scarico di varie dimensioni disseminate sul pavimento della seconda sala, la cui unica soluzione è la presenza di un tappo.

Problematiche irrisolte e ancor più irrisolvibili, fermoimmagine di condizioni paradossali, come l’opera-simbolo dell’intera esposizione: una scatola di pastelli consunti, uno dei quali è magicamente disposto in equilibrio su se stesso nell’angolo della scrivania dell’ufficio. La precarietà cui questo allude è quella che si ritrova aggirandosi incuriositi tra gli spazi dell’esposizione, spesso sorpresi dall’ingombranza delle opere. È così che ci si ritrova di fronte a un grande pallone gonfiabile al cui interno l’acqua di mare lo rende fissato al pavimento o l’ultima opera, che di certo contribuisce a creare un clima di suspense: un faro, unica fonte di luce dell’ambiente, illumina un fuoco artificiale adagiato al suolo. Un’invito all’abbandono immediato della stanza, o all’attesa? Restare per vedere o scappare per salvarsi?

Orozco, così come Chris Sharp, il curatore della mostra, non vuole dare alcuna risposta definitiva agli interrogativi che attanagliano gli spettatori. Lascia invece una pluralità di possibilità aperte, possibilità di interpretazione, come quella secondo cui la mostra si configurerebbe come paradigma della crisi politico-economico-manageriale di cui i tempi moderni ci trovano come protagonisti e spettatori.

Fino al 25 marzo
Federica Schiavo gallery
Piazza Montevecchio, 16 Roma
Info: www.federicaschiavo.com