«Per questa mostra, a cui sto lavorando da circa un anno, ho avuto modo di confrontarmi con diversi linguaggi. La natura, intesa proprio come studio della natura, e quindi botanica, anatomia delle piante, poesia, filosofia. E quindi l’elaborazione dei concetti. Perché la differenza del linguaggio è proprio nel registro – rivela Tamara Ferioli – Mi piacerebbe quindi che questo lavoro fosse letto e interpretato in questo senso. Ovvero come una possibile spiegazione. Non deve cercare delle risposte ma delle domande. Se la domanda è giusta, non ci sarà bisogno della risposta, perché sarà chiara da sé». Idola, esibizione curata da Francesca Alfano Miglietti ospitata fino al 14 gennaio nella galleria milanese Officine dell’immagine, s’ispira a quel che evoca l’antica spelonca descritta da Platone, dove le immagini scorte da uomini incatenati al suo interno fin dalla nascita, non sono che forme artefatte della realtà, ombre di alcune statuette trafitte dalla luce di un fuoco posto alle loro spalle.
Solo un uomo libero può constatare la verità e dire tra sé e sé, osservando il riflesso, che esso non è che un’ombra dell’Idea, ovvero della realtà vera. Le forme dei corpi in mostra non sono che l’immagine dell’artista stessa, travolta dalla luce di una ricerca che in realtà coinvolge parte degli esseri umani. La Ferioli nelle sue varie rappresentazioni, anche sdoppiate, si mostra e si nasconde nella sua nudità lasciando a chi osserva dall’esterno lo svelarsi di un’immagine di donna, sempre concentrata sull’analisi in corso, forse preda dei suoi “idola”. I suoi capelli sono gli stessi di quei corpi descritti a matita, nel dolce fuoriuscire da un cespuglio come nel Gigante caso dei due, o nello starsene a testa in giù, dando i natali a Conversazione da marionetta. Riflettendo ancora sul mito platonico si ricorda Bacone, il quale pensava che la caverna fosse paragonabile alla mente di qualsiasi individuo.
Se in quel bel mito, descritto da Platone, si celebrava la verità nella consapevolezza dell’esistenza della vera realtà illuminata dai raggi solari, in contrapposizione a quel mondo di ombre divulgato dal fluire della luce del fuoco, dinanzi alla visione baconiana sembra proprio che ognuno debba far i conti con idoli personali e quindi con una propria concezione di verità. Sebbene tutte le persone godano di particolari pregiudizi innati, o idola tribus, all’interno della propria mente, esse tendono a vedere la realtà in un determinato modo, diverso nella propria unicità. Per esempio, esistono uomini che notano maggiormente le differenze tra le cose, altri invece che mirano alle analogie. Gli idola specus sembrano anch’essi innati ma Bacone ricorda che ogni essere umano ne possiede di differenti a causa delle esperienze vissute o dell’educazione che gli è stata impartita; nonché individua gli idola fori o del mercato facendo notare che nel linguaggio esiste sempre una difformità tra i termini e i significati a essi attribuiti.
Una parentesi per osservare con più chiarezza l’installazione della Ferioli al piano inferiore dello spazio milanese, quel luogo sperduto di bianco o Idola, un non luogo, fatto di tronchi tagliati che trafiggono volumi di enciclopedia. In questo non luogo, dunque, si dà un limite alla conoscenza, si cerca il mistero della vita e si vive la solitudine. È un micro mondo, una grande spelonca dove dominano gli Idola, riflessi di una verità che in realtà non si mostra. Quello tra la caverna e l’esistenza umana, d’altra parte, è un paragone che illustra lo stesso Socrate sulla Repubblica di Platone. «Verità, realtà. Esistono davvero? Ecco, siamo nuovamente nella dimensione onirica. Eppure è tutto così reale e vero – sostiene la Ferioli – che un unico livello di lettura non basta per rendere conto della complessità e nello stesso tempo della semplicità della natura e quindi degli esseri umani».
Il centro dell’installazione e il suo diramarsi sono il fulcro da cui diparte tutta l’esibizione. In una delle carte intelate, Un lento calmarsi del dolore, posta dietro all’installazione, c’è un uomo immerso nell’installazione stessa ridisegnata a matita; egli però non è costretto a osservare alcuna immagine, come accadeva ai prigionieri nella caverna platonica ma rimane ripiegato su se stesso, con il volto coperto dalle foglie, forse nella consapevolezza che non esiste alcuna verità certa e indissolubile. In un altro lavoro appartenente a questa serie intitolato Tutto ciò che luccica è freddo si osservano vari corpi piegati a circondare un grande simbolo che ha valore in Scandinavia e appare durante la festa di mezz’estate. La stanza dove giace l’installazione vibra nel suono di natura creato da Fabio Bonelli del laboratorio creativo “People from the mountains”.
Piccole vibrazioni, lievi tocchi ai tasti di pianoforte si sono integrati immediatamente all’opera della Ferioli. Precisa Bonelli: «Gli accordi di piano, registrati in una stanza buia in una sera d’autunno, sono colonne di suono, come tronchi d’albero, ognuno diverso ma con un’essenza comune. Come libri, che racchiudono in sé un mondo, ogni habitat sonoro è un universo di suoni e simboli che popolano per un attimo il bosco di Idola; lo spazio e il tempo non esistono?». La natura si osserva attraverso la presenza di oggetti, simboli per l’artista: insetti, fiori secchi, sassolini al centro dei quali spicca una piccola serratura. «La natura è un tempio – conclude la Ferioli – animato e non. Sono sempre stata affascinata dai materiali semplici. Dalla dignità austera che può avere un sasso. O la timidezza di un ramo. Da bambina ho sempre preferito gli oggetti del bosco o del fiume vicino casa, piuttosto che i giocattoli convenzionali. Custodivo segreti che avevano la forma di una foglia, o di un insetto morto stecchito. La possibilità di renderli protagonisti anche delle mie narrazioni iconografiche è stata una naturale conseguenza».
LA MOSTRA
Idola a Milano
Idola, la nuova personale di Tamara Ferioli curata da Francesca Alfano Miglietti, prende corpo in venti opere inedite, disegni creati a matita su carta giapponese lavorata a mano, successivamente intelata e ricoperta da uno strato di resina. Inoltre, all’interno delle Officine dell’immagine, galleria milanese che ospita la mostra, è presente un’installazione inedita realizzata con numerosi ceppi tagliati a più altezze che trapassano volumi enciclopedici, e musicata da suoni della natura, accompagnati da brevi note di pianoforte frutto dell’interpretazione di Fabio Bonelli. Nell’insieme appare un luogo senza tempo dove libellule, insetti, sassolini, pietre diventano i simboli recenti nella ricerca continua e individuale condotta dall’artista. Accompagna la mostra un catalogo edito da Vanilla edizioni. Fino al 14 gennaio 2012. Officine dell’immagine, via Atto Vannucci 13, Milano. Info: www.officinedellimmagine.it.
L’ARTISTA
Nel 2011 vince il premio “Ceres 4 art”
Tamara Ferioli nasce il 28 agosto 1982 a Legnano (Milano). Studia all’accademia di Belle arti di Lione e in seguito a quella di Brera, a Milano, dove ha ottenuto il diploma al dipartimento di pittura. La sua condotta artistica, che non è una carriera in attesa di consensi ma un modo d’essere, l’ha spinta fino al raggiungimento d’importanti riconoscimenti dal 2005 a oggi, partendo dalla vittoria del premio menzione speciale al concorso “Tea time! At what time?”. Nel 2011 è vincitrice del premio giuria “Ceres 4 art”. Tra le sue personali si rammenta quella del 2010 allo studio d’arte Cannaviello di Milano, intitolata “Mekanema”.