I Borghese e l’antico

Jean Clair nel suo ultimo scritto, L’inverno della cultura, si chiedeva se è più giusta una copia perfetta, ma nel suo contesto originale, o un’originale, ma in un contesto che non le è mai appartenuto. La galleria Borghese entra nel dibattito e fa bingo, sbanca, vince tutto, scala reale, tombola e tombolino. Dopo quasi due secoli tornano nella villa Pinciana i tesori del cardinal Scipione Borghese altrimenti esposti al Louvre.

«Questa non è una mostra» dice Anna Coliva, direttrice della Galleria Borghese con una punta d’orgoglio, «ma una restituzione della collezione». Temporanea, aggiungiamo noi che dopo questa lunga assenza torna a Roma per pochi mesi dal 7 dicembre al 9 aprile. Frutto di un’intensa collaborazione Italia-Francia l’evento è degno di ogni nota e ci riporta indietro in quella che veramente era la città eterna. Tutto cominciò con la volontà di Scipione Borghese di realizzare una villa suburbana, destinata a ospitare esclusivamente opere d’arte. Detto fatto, il cardinale acquista due collezioni, quella di Lelio Ceoli nel 1607 e quella dello scultore Giovan Battista della Porta nel 1609. A queste si aggiungono in poco tempo opere provenienti da ogni dove fra scavi, ritrovamenti fortuiti, mercati d’antiquariato o altre collezioni. Bassorilievi che posano accanto a busti, sculture accanto a iscrizioni e iscrizioni e sculture in mezzo a quadri e tele in un caos che ha formato generazioni d’artisti e definito da Gian Lorenzo Bernini come una foresta di statue.

Poi arriva Winkelmann e cambia la moda, dalla curva alla linea, dal disordine alla calma. Marcantonio IV Borghese, per rimanere al passo coi tempi, ordina all’architetto Antonio Asprucci un ammodernamento del casino pinciano e si mette ordine nel caos. Le statue vengono divise dai quadri ed esposte nei due piani della villa, vengono allargate le stanze e cambiata la loro disposizione in favore di una “nobile semplicità e quieta grandezza”. Tredici milioni di franchi sono i soldi che Napoleone promette a Camillo Borghese, marito di Paolina Bonaparte, nel 1807, per la collezione antica della villa. 695 sono i pezzi che lasciano Roma alla volta di Parigi, appena 3 i milioni che entrano nelle tasche del povero Borghese. Sessanta, invece, le opere che tornano a casa riprendendo l’esatto posto che occupavano 200 anni fa, fra queste il famoso Vaso borghese, l’Ermafrodito e il Centauro cavalcato da amore. Lasciano così le mura grigie del Dipartimento delle antichità greche, etrusche e romane del Louvre per risplendere nella loro sede originale. Passeggiando fra i corridoi della galleria vedrete le Tre grazie fra Botticelli e Raffaello, sentirete i Fauni suonare per il Ratto di Proserpina e incontrerete sdraiata Paolina che ride in compagnia di vecchi amici.

Fino al 9 aprile
Galleria Borghese, via piazzale della Galleria Borghese 5
Info: www.galleriaborghese.it

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