Al via l’antologica del Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci di Prato dedicata a Nicola De Maria, I miei dipinti s’inchinano a Dio, fino al 4 marzo 2012. La retrospettiva, curata da Achille Bonito Oliva e Marco Bazzini, direttore artistico del Pecci, si incastona tra i numerosi eventi organizzati in tutta Italia per celebrare la Transavanguardia, quindi i suoi maggiori esponenti, in occasione dei 150 anni dell’unità d’Italia.
La mostra presenta al pubblico la produzione più recente di De Maria, tralasciando percorsi cronologici e compensando con un piglio curatoriale piacevolmente ricco di contrasti, eccentrico e naïf, confusionario e discreto, ipercromatico e lineare. I lavori degli anni Novanta e Duemila lasciano che si scopra un lato mai stanco del maestro, eternamente fanciullo, Nicola, pittore di casette, scritto su un fondo vermiglio di una profondità da apnea oppure dentro una delle sue valigie colorate che nasconde, forse, i mestieri dell’infanzia.
«L’arte deve essere sola, silenziosa e nuda», dice lui stesso mentre sorride, come se conoscesse bene la possibilità di scatenare certe riflessioni con questa affermazione. Perché la sua pittura urla, esplode colore e quasi tamburella un riff: sembra impensabile che questo fuoco d’artificio arrivi da un momento di solitudine, silenzio e nudità. È una partitura musicale la sua tela, spesso immensa, che perde i confini e coinvolge le pareti e le volte, che lascia trapelare una gioia di gradazione e di segno formalmente vaga, ma che rivela, a un secondo sguardo, le sfaccettature della natura (Il mondo dei fiori è un tripudio) e della bellezza tutta.
Bonito Oliva, padre della Transavanguardia, definisce l’antologica un «santuario della pittura» e dice del lavoro di Nicola De Maria: «Questa è un’arte totale, polisensoriale, non è astratta come può sembrare apparentemente, c’è il figurabile. Sono forme indecise a tutto, l’osservatore può incontrare qualsiasi esperienza» ed è effettivamente quello che succede. Non esiste imbarazzo di fronte all’iniziale nonsenso di quelle scintille (stelle o calle?) bianche perse nel cobalto e c’è il piacere di uno smarrimento da labirintite nell’enorme camera picta che intervalla le sale e che accoglie lo slancio dell’artista, seducentemente invadente.
È un viaggio in mongolfiera che parte da Beato Angelico e arriva a Frank Zappa, parafrasando Bazzini, “un’architettura sinfonica di musica-occhi” che inorgoglisce il direttore artistico del museo d’arte contemporanea più vivace della Toscana, in continua evoluzione eppure perenne dialogo con la storia italiana. Nicola De Maria è bucolico e rock, materico e sintetico. È poetico e ribelle, come quando il movimento nacque e rifiutava il perbenismo, allora l’arte doveva trasformare la bruttezza in armonia. E forse, a distanza di trent’anni, ne abbiamo di nuovo un estremo bisogno.
Fino al 4 marzo 2012
Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci
viale della Repubblica 277, Prato
Info: www.centropecci.it