Ramingo per scelta, Steve Mc Curry ha fatto del nomadismo la sua cifra stilistica «perché già il solo viaggiare e approfondire la conoscenza di culture diverse, mi procura gioia e mi dà una carica inesauribile», afferma. Il celebre fotografo statunitense, cacciatore di sguardi e atmosfere esotiche, è un instancabile pedinatore di popoli e individui che, nonostante la differenza di usi e latitudini, finiscono tutti per avere un qualcosa di riconducibile e familiare. Mc Curry porta i suoi oltre duecento scatti, che si aprono all’occhio dello spettatore come finestre sul mondo, al Macro di Roma.
Non è certo la prima volta che il fotografo è in mostra in Italia ma l’esposizione capitolina ha con sé delle caratteristiche uniche: la nuova serie delle fotografie italiane, un omaggio al paese frutto dei ripetuti soggiorni effettuati quest’anno dal Veneto alla Sicilia, e soprattutto la particolarità dell’allestimento curato da Fabio Novembre. «Quando penso a Steve Mc Curry – dichiara l’achitetto – tendo ad applicare l’aforisma di Benoit Mandelbrot, il padre della geometria dei frattali, che descrivendo la sua esperienza di ricercatore era solito definirla “nomadi per scelta, pionieri per necessità”. La vita di Steve Mc Curry, per me, è quella di un’instancabile ricercatore della natura umana. Come i frattali di Mandelbrot sono la realtà nascosta dietro quel principio di ordine euclideo che abbiamo sempre associato alla natura, allo stesso modo i soggetti delle foto di Mc Curry sono la realtà nascosta dietro quella comunicazione patinata che pensa di rappresentare l’umanità».
Le immagini sono state scelte per assonanza di soggetti e emozioni, cercando i fili comuni e gli impensabili legami che accomunano luoghi e persone seppure in latitudini diverse. «L’allestimento che ho creato nasce proprio dal concetto di viaggio e dalla condizione nomade: mentre la nostra idea di casa assomiglia sempre più ad arroganti dichiarazioni di potere ben salde sulla terra che occupano, a manifesti di felicità individuale che non contemplano alcuna ricaduta collettiva, le case nelle foto di Steve Mc Curry sono precarie, come le vite di chi le abita, simili a strutture cellulari labili. Ed è esattamente questa suggestione che ho cercato di riportare all’interno dei grandi spazi del Macro, un allestimento come un villaggio nomade, strutture che si compenetrano per restituire quel senso di solidarietà che si respira nelle foto di Mc Curry. Con un criterio espositivo che non tiene conto di variabili spazio temporali ma che lavora sull’assonanza dei soggetti, sugli imprevisti gradi di parentela che restituiscono il senso di umanità. C’è la vita e c’è la morte nelle sue foto, e quel breve o lungo percorso che le unisce. Come il percorso e il senso stesso di questa mostra che porterà i visitatori a essere nomadi per scelta, pionieri per necessità».
Fino al 29 aprile 2012
Macro Pelanda, piazza Orazio Giustiniani 4, Roma
Info: www.macro.roma.museum