Nel giugno scorso, in seguito al deludente e scarno padiglione regionale del Piemonte messo in piedi in fretta e furia al pianterreno del Museo di scienze naturali di Torino, che rientrava nel progetto di diffusione sull’intera penisola del padiglione italiano della 54esima Biennale di Venezia, Vittorio Sgarbi, ideatore e curatore del progetto, aveva promesso al capoluogo sabaudo che, presto, avrebbe ospitato un’altra importante mostra dislocata in una sede di ben altre dimensioni: la sala Nervi del Palazzo delle esposizioni. Al tempo, già era stato reso noto che non si sarebbe trattato di una seconda rassegna di artisti piemontesi – quella, in tono sommesso, ha trovato posto ad Alessandria e a Saluzzo – ma, addirittura, di un gemello della mostra veneziana. Poi, di questo ambizioso progetto si sono perse le tracce e, passati cinque mesi dall’annuncio, si dava ormai per scontato che non se ne sarebbe fatto più nulla. Parole al vento.
D’improvviso, verso la metà della scorsa settimana, sono iniziate a girare voci di un’insperata rinascita della mostra, ormai completamente scollegata dalla Biennale veneziana. Proprio mentre questa festeggiava la chiusura, tirando le somme di un’affluenza senza precedenti, Sgarbi si presentava al Circolo dei lettori di Torino per una conferenza stampa quasi del tutto improvvisata – basti pensare che gli inviti sono giunti il venerdì sera per il sabato pomeriggio – in cui, oltre alle scontate ingiurie lanciate in direzione dei nemici di sempre Achille Bonito Oliva e Francesco Bonami e alle ormai famose accuse mosse alla “mafia dell’arte”, ha indefinitamente presentato l’immensa mostra che, dal 19 dicembre al 31 gennaio, troverà posto proprio nell’annunciata sede di Palazzo delle esposizioni, prestato gratuitamente dalla giunta di Torino.
Sia il critico ferrarese che Giorgio Grasso, uomo politico estraneo al mondo dell’arte che, per il progetto, ha assunto il ruolo di segretario e coordinatore, si sono spesi più a specificare cosa la mostra torinese non sarà, che non a chiarire cosa effettivamente sarà. «Non sarà una mostra che peserà sulle tasche dei contribuenti – ha sottolineato Grasso a più riprese e, a differenza della maggior parte delle iniziative culturali finanziate dallo Stato, Biennale compresa – non sarà noiosa. Sarà una mostra divertente che permetterà di vedere tutti i gusti che a un essere umano possano piacere». Nel suo intervento, Sgarbi ha chiarito che di questi gusti, al momento, se ne contano ben seicento – tra scultori, pittori, fotografi, videoartisti e ceramisti – ma, prima del 19 dicembre, il gruppo potrebbe ancora aumentare, portando così a tremila il numero complessivo degli artisti presenti nei vari padiglioni regionali e in quello veneziano. Settemila in meno di quelli che, a detta sua, avrebbero meritato di esserci.
Certamente sarebbe stato impossibile elencare tutti gli artisti che saranno presenti in quello che, per lo stesso Sgarbi, «è il più bello di tutti i padiglioni», ma, di queste centinaia, sono stati fatti solo una manciata di nomi: Ugo Nespolo, il ceramista Pompeo Pianezzola, il pittore piemontese Enrico Colombotto Rosso – senza il quale, sempre a detta del critico, la mostra non avrebbe avuto significato – il comico e imitatore Dario Ballantini e Adriana Faranda, ex-brigatista appartenente alla colonna romana che organizzò il sequestro Moro. In definitiva, della mostra è stato rivelato troppo poco sia per farsi una vaga idea di cosa si potrebbe parare davanti agli occhi del pubblico tra tre settimane, che per cancellare il timore di aver a che fare con l’esaltazione estrema di quella logica da supermercato dell’arte con cui da più parti è stata etichettata l’intera operazione “padiglione Italia”.