«È la prima mostra mai realizzata al mondo che descriva lo scenario maestoso dell’evoluzione umana per come è emerso recentemente dal connubio di dati genetici, antropologici e linguistici, e come mai siamo rimasti l’unica specie umana, quando fino a poche migliaia di anni fa ne esistevano almeno quattro». Parola di Telmo Pievani, curatore assieme a Luigi Luca Cavalli Sforza di Homo sapiens. La grande storia della diversità umana – questo il titolo della mostra inaugurata al Palaexpò – è sicuramente una delle mostre più complete e avvincenti che sia dato vedere sotto le volte del museo romano e in giro per la vigna.
Sedici università di otto paesi, Italia in testa, e oltre trenta istituzioni hanno messo in piedi un’esposizione a metà tra il documentario di History channel e l’immaginifico del National geographic, con un supporto iconico e animato dove accanto agli usuali reperti in vetrina si affiancano le più moderne forme d’interazione e ibridazione comunicativa, con tanto di poderosi calchi dei nostri progenitori e degli animali che cacciavano o da cui erano cacciati. Dall’ingresso in sala, dove un vulcano eruttante a 360 gradi vi riporta all’alba dei tempi, fianco allo scheletro di Lucy che osserva curiosa i suoi successori, fino all’uscita, è un viaggio nel tempo e alle origini delle specie umane quello che il visitatore percorre al piano superiore del museo.
Speci al plurale, perché – e questa è una delle grandi novità a cui la mostra dà risalto – come rileva Pievani non siamo stati i soli umani a calcare questa terra. Da due milioni di anni fa, quando il primo bipede del genere Homo si mise in viaggio dalle piane etiopi – più esattamente dal bacino del fiume Omo, nome quanto mai appropriato – fino a poche migliaia di anni orsono, quando i suoi eredi popolarono le ultime appendici del continente americano, è un viaggio in compagnia quello che compie l’Homo sapiens, accanto a specie non meno umane né meno capaci di lui. Già in grado di elaborare riti di sepoltura e cerimoniali sacri, come il cugino di Neandertal, o di cacciare con altrettanta perizia, come il piccolo uomo di Flores, nell’arcipelago indonesiano, o di Denisova, in Siberia.
Almeno quattro specie, dunque, diversamente umane ma egualmente abili nello sciamare per il mondo dalla comune matrice del Corno d’Africa – e questo è uno dei tanti misteri della nostra storia: perché proprio lì, a distanza di centinaia di migliaia di anni, hanno preso origine tutte le razze ominidi che a ondate migratorie successive hanno popolato l’intero pianeta. Misteri a parte, tutto ciò racconta la mostra, in un percorso espositivo che si snocciola lungo sei sezioni. Nelle prime due si affronta la comune matrice africana del genere umano, l’Africa continente madre e la commistione di razze che arrivarono a interagire e incrociarsi fra loro, finché il genere Sapiens non rimase unico padrone del campo, all’alba della rivoluzione paleolitica che, circa 40mila anni fa, portò a un sapere fatto di stili e tecniche di vita diversi: dalla cottura dei cibi ai primi manufatti artistici (terza sezione).
Se la quarta presenta le tracce di questi mondi nuovi e perduti, con l’addomesticamento di piante e animali, quindi la comparsa di popoli stanziali e di altri conflitti per la sopravvivenza, la quinta sezione racconta l’Italia come summa d’incessanti processi migratori che nessuna politica di non accoglienza potrà mai frenare. E questa, nella sesta parte, è la chiusa e il senso ultimo della mostra: mostrare come tutti siamo parenti diversi di un unico ceppo originario – al punto da ventilare una qualche Eva primordiale – e le radici di una comune civiltà siano talmente intrecciate da far sì che le razze siano davvero uno scherzo del sole, più che della terra, per dirla come Cavalli Sforza.
Fino al 12 febbraio
Palazzo delle Esposizioni, via Nazionale 194, Roma
Catalogo Codice Edizioni
Info: www.palazzoesposizioni.it; www.homosapiens.net