Un grande progetto dove l’arte diventa mezzo comune di informazione. Unicità dei progetti inseguendo lo stesso ideale. Un nuovo orizzonte artistico che osserva il mondo che vive e l’energia che muta seguendo tre criteri nodali. Tempo. Spazio. Esistenza.
Palazzo Bembo è un magnifico edificio veneziano che si affaccia sul Canal Grande E si trova a pochi metri dal Ponte di Rialto. Fu costruito dalla famiglia patrizia dei Bembo nel XV secolo e oggi ospita un’esclusiva collettiva. L’elegante facciata di stile bizantino nasconde una della più importanti manifestazioni d’arte della città, “Personal structures“. Organizzata da Global art affairs foundation, la kermesse è parte di un progetto artistico internazionale avviato nel 2002 dall’artista olandese Rene Rietmeyer. Nato nel 1957 a ‘s-Hertogenbosch, nei Paesi Bassi, dopo gli studi in psicologia a Innsbruck, si dedica completante all’arte. Nel 1997 elabora un personale soggetto, un linguaggio proprio, frutto di influenze della “minimal art” e della nuova astrazione: i “boxes”. Sono oggetti tridimensionali, generalmente dipinti su cinque lati, che vengono presentati al pubblico in installazioni a parete o a pavimento. Lavora con materiali eterogenei, come metallo, vetro, silicone e colla ma anche tela e colori ad olio.
Nel 2002 dà vita a un progetto avveniristico. Lo scopo è la ricerca di artisti nei più disparati angoli del mondo che percepiscano la visone artistica della vita osservandola dal punto di vista del tempo, dello spazio e dell’esistenza. L’unicità del progetto lascia libera scelta agli artisti di trasferire le emozioni in opere metaforiche reali, spaziando nella scelta di infiniti elementi; infatti la mostra presenta una grande varietà di mezzi artistici come video, scultura, pittura, fotografia, installazioni luminose, “wallpaper” e performance, tutte secondo modalità espressive estremamente personali. Da tale osservazione è nata l’idea di riunire artisti diversi attraverso pubblicazioni, mostre e simposi.
Nell’ambito della 54esima Esposizione internazionale d’arte di Venezia, “Personal structures” presenta dunque 28 artisti provenienti da cinque continenti, in rappresentanza di dodici paesi, una straordinaria combinazione di nomi celebri accanto ad altri meno noti. Ogni sala di palazzo Bembo è dedicata a un singolo artista. La carica espressiva delle opere conferisce a ogni stanza un’atmosfera fortemente distintiva, unica. Un mondo a sé, che s’allontana dall’esperienza precedente. Ogni lavoro è un salto nel buio. Entrare e rimanere folgorati dalla linearità del percorso artistico non è un caso ma la maniacale cura dei dettagli di due professioniste del contemporaneo che da anni collaborano con la Fondazione Global art affairs, due olandesi che dimostrano una forte internazionalità nell’allestimento e nella presentazione della mostra, Karlyn De Jongh e Sarah Gold. Inevitabile un confronto per capire da dove venisse la spinta per realizzare un progetto così ambizioso e inusuale.
Come è nata una passione così travolgente per l’arte?
«Da sempre, siamo nate con il desiderio di lavorare nell’arte e durante il periodo universitario siamo entrate in contatto con il mondo del contemporaneo e ci ha coinvolto così tanto che non riusciamo a farne a meno».
Cosa pensate prima di dormire e alla mattina appena sveglie?
«A palazzo Bembo, è inevitabile, è dentro di noi, fa perte della nostra vita, è il nostro respiro».
Ma l’arte contemporanea ha una nazionalità? Dove riesce a radicarsi meglio?
«No, non esiste un luogo definito. L’arte è mondiale, supera ogni confine. Ogni momento storico ha un paese che risulta più rappresentativo di un altro ma è tutto troppo mutevole per definirne uno in questo periodo. L’Olanda, ad esempio, non ha molti artisti che siano rappresentativi dell’arte oggi. Questo perché lo stato ha scelto la politica di dare un piccolo aiuto economico agli artisti. Può sembrare positivo all’inizio ma poi risulta demotivante. Gli artisti si sono fermati, non hanno stimoli per la loro creatività. Non hanno motivo di lavorare per guadagnare. A volte il non avere denaro aiuta a sviluppare di più l’ingegno. Picasso anche senza soldi dipingeva ugualmente, anche su un pezzo di legno. La strada dell’artista dev’essere tortuosa così da estrapolare maggiormente le emozioni più nascoste».
Nessun artista italiano in “Personal structures”: una scelta voluta?
«No, assolutamente. Avremmo voluto tanto avere un italiano ma la selezione era guidata da tre direttive importantissime “tempo, spazio ed esistenza”. Non tutti gli artisti seguono questo filone logico. Abbiamo contattato Giuseppe Penone ma non c’è stato poi un accordo. È un artista che ammiriamo molto».
E dell’Italia che cosa pensate?
«L’Italia è un paese meraviglioso. Avete un patrimonio artistico molto vasto e quindi difficile da gestire sia per i costi che per l’organizzazione. Dobbiamo ammettere che gli italiani all’estero vengono visti come troppo superficiali. La verità è che sono dei veri professionisti, attenti e affidabili. Siamo rimaste stupite dalla vostra calorosità ed umanità».
Durante l’intervista a Karlyn e Sarah si siede accanto a me Rene Rietmeyer. Rimango un po’ stupito dalla semplicità con cui interviene nel dibattito. Dopo aver osservato insieme il video di Hermann Nitsch, molto forte e cruento, ho chiesto se l’arte dovesse porsi dei limiti. Rene senza dubbi mi ha risposto: «No, assolutamente. L’arte non deve avere nessun limite. Ma questo non significa che tutti i mezzi espressivi possano considerarsi arte».
Ma secondo lei, Rietmeyer, perché un quadro del Tintoretto piace a tutti mentre un’opera contemporanea difficilmente viene capita, anzi, spesso derisa?
«Oggi per capire un’opera è necessario conoscere prima l’artista, con la sua storia e ciò che vuole comunicarci. L’arte è in continua evoluzione e la tecnica non è l’unico mezzo comunicativo. Tutto nasce da un concetto spesso astratto che va reso pratico. La bellezza di per se non ha più un ruolo fondamentale. Ora contano le idee, le emozioni che spesso non sono tangibile e facilmente comunicabile e quindi le tecniche sono lontane dal comune concetto visivo».
Giuseppe Stampone ha realizzato un istallazione per ricordare la tremenda vicenda di Ai Wewei, ora l’artista é stato finalmente liberato cosa ne pensa?
«Noi viviamo in una parte del pianeta dove esiste un chiara libertà di espressione, non possiamo capire la situazione cinese ma comprendere le difficoltà della popolazione. Sono molto vicino a Weiwei, la vicenda è più complessa di quello che sembra sono coinvolte diverse problematiche che vanno bel oltre l’arte».
Come vede l’arte contemporanea oggi?
«Siamo in un momento di svolta, la direzione è il cambiamento ma le strade sono diverse. Io vivo l’arte come una realtà seria. Molto seria. Un vero e proprio lavoro, dove alla base c’è la comunicazione di un sentimento. Il mercato, però, è sporcato da “artisti di moda” che puntano solo alla banale commercializzazione delle opere. Così si sminuisce il vero valore dell’arte che è sopra a tutto, al denaro, alle religioni, alle divisioni, ai confini».
Fino al 27 novembre
“Personal structures”
Palazzo Bembo, Ponte di Rialto, Canal Grande