Opere create da dodici artisti brillano di fronte agli occhi degli spettatori in una collettiva alla galleria Rusconi di Milano orientata a interpretare il valore simbolico dell’oro. Mario Airò, Tony Brown, Claude Collins-Stracensky, Paolo Gonzato, Franco Guerzoni, Eva Marisaldi, Katja Mater, Liliana Moro, Nathaniel Rackowe, Davide Tranchina, Mark Aerial Waller e Silvio Wolf indagano il tema con l’apertura di un dibattito tra etica ed estetica contemporanea, traendo ispirazione dal testo di Georges Didi-Huberman.
La derivazione latina della parola oro, aurum, riceve la forma primigenia dal termine ausum che si connette al sabino ausom e non esclude che si affacci anche alla radice indoeuropea aus, ovvero ciò che brilla. L’oro, infatti, è simile all’aurora: è luce. Per i greci questa parola si traduce con il termine krusos, la medesima che si ritrova nelle crisalidi delle farfalle; come se anche le farfalle illuminassero il cielo. L’oro così possiede un valore duplice: è luce e metallo, mistico e alchemico soggetto.
La ricerca dell’oro è simbolo anche della ricerca del sapere. Questa considerazione riempie di fascino il mitico cercatore d’oro che, come vuole un antica leggenda, setacciava l’acqua dei fiumi o scavava dalle montagne le pepite. Secondo alcuni l’oro deriva dal latino arcaico lucciare, da lucere. Le lucciole emanano luce. Secondo Georges Didi-Huberman, quando gli esseri umani vivono pensieri oscuri esistono immagini che arrivano alla mente e che come le lucciole guidano e indicano la strada allo stesso modo di lampi inaspettati. Le lucciole metaforicamente divengono survivances, resistenze nomadi del pensiero. George Didi-Huberman prende spunto da Pier Paolo Pasolini nel pensare che le lucciole fossero nel medesimo tempo anche identità innocenti.
Fino al 5 novembre
Galleria Nicoletta Rusconi
corso Venezia 22, Milano
Info: 02784100; www.nicolettarusconi.com