Se vi è un periodo del Novecento nel quale il corpo è stato al centro dell’attenzione in molti ambiti della società, dal costume, alla comunicazione, all’arte, questo è il ventennio Sessanta Settanta. Si tratta, come sappiamo, di un periodo nel quale il desiderio di cambiamento investe in modo profondo ogni aspetto della società. La cultura hippie, l’aspirazione a un mondo di pace e libertà, la liberazione sessuale, le istanze del movimento femminista; e poi la contestazione studentesca, le lotte operaie, le grandi utopie per la costruzione di una nuova società nella quale la sfera del pubblico e quella del privato giungano coerentemente a coincidere. Sono i temi e i grandi ideali sui quali viene misurata la vita stessa.
Parallelamente, il corpo inizia a diventare oggetto di consumo. Sono gli anni della minigonna e del topless, e della nuova idea di corpo incarnata da modelle come Twiggy, Jane Shrimpton, Penelope Tree, Verushka. Ma, in un processo vivacemente dialettico, nei concerti di Woodstock, dell’isola di Wight, di Monterey, del “living theatre”, del teatro di Grotowski, dell’Odin teatret, il corpo viene riportato alla sua ideale originaria condizione naturale. Se in arte, gli “happening” di Fluxus e le azioni della body art fanno del corpo il territorio privilegiato della ricerca dell’identità, sia sul piano esistenziale che sociale, anche nel campo della fotografia le ricerche sul corpo si intensificano attraverso una vasta produzione di immagini spesso innovative dal punto di vista linguistico.
Il corpo, diventato vero e proprio linguaggio per gli artisti (secondo l’espressione utilizzata da Lea Vergine nel noto libro Body art e storie simili, il corpo come linguaggio, che il titolo della mostra intende citare), per la fotografia funziona da punto di partenza per la nascita di inedite soluzioni espressive. Inoltre, la presa di coscienza sul corpo proprio e altrui coincide spesso con la presa di coscienza sulle potenzialità della fotografia stessa, che ormai inizia a entrare nel mondo dell’arte e cambia le sue regole e il suo statuto. La mostra presenta dodici artisti italiani e stranieri presenti nelle collezioni del museo (David Bailey, Gabriele Basilico, Günter Brus, Maurizio Buscarino, Eugenio Carmi, Carla Cerati, Paolo Gioli, Guido Guidi, Les Krims, Paola Mattioli, Floris Neusüss, Christian Vogt) che indagano in modi diversi i temi della soggettività, della fisicità, degli immaginari del corpo sia femminile che maschile.
Le opere presentano una sorprendente ricchezza narrativa. La fotografia viene messa alla prova a più livelli, che toccano la dimensione teatrale, letteraria, psicologica. Attraverso racconti-sequenze, messe in scena di tono onirico, registrazioni di performance, il corpo catalizza tensioni di natura erotica, esistenziale, sociale.
*curatrice della mostra