Alla fine per Bartolomeo Pietromarchi è arrivata la consacrazione dell’ufficialità. Seduto alla destra del padre putativo, alias Dino Gasperini, assessore alla Cultura capitolina, il neodirettore del Macro ha avuto il suo battesimo del fuoco nella sala conferenze del Museo d’arte contemporanea di Roma. Occhi chiari, cravatta verde e fare diplomatico, Pietromarchi – romano, nato il 5 aprile 1968, una laurea con lode in storia dell’arte contemporanea, già direttore della fondazione Olivetti e tra i curatori del Maxxi – ha spiegato che ne farà della creatura ereditata dal compianto (in senso artistico) Luca Massimo Barbero. Non in termini di programmazione, su questo il neodirettore non si è sbilanciato né potrà dire la sua prima della fine di settembre (quando, per inciso, dovrebbero essere inaugurati due nuovi padiglioni a Testaccio), ma in termini d’identità: come struttura capace di connettere sempre più la cultura e l’arte cittadine, all’insegna della glocalità. Vale a dire con un occhio alle produzioni locali e l’altro al contesto internazionale di cui il museo romano è, per forza di cose, specchio e vetrina.
«Terrò la barra fissa su una forte identità culturale, riconoscibile tanto a livello cittadino che internazionale, capace di fare la differenza – dice Pietromarchi – altrimenti non giocheremo da attori in questo campo». Compito arduo? «Spero di essere all’altezza ma non mi sento solo, credo nei movimenti collettivi», spiega il neodirettore, con riferimento alla neonata Consulta del contemporaneo, proprio tra le mura del Macro, dopo le dimissioni del precedente direttore e con l’idea di far ripartire un’idea del presente nella città eterna. «Abbiamo tutti lo stesso obiettivo, vedo la Consulta in termini positivi, non oppositivi. C’è sintonia sui temi fondamentali, sento una grande energia, un’onda che muove nella giusta direzione, si tratta solo di cavalcarla. Quanto all’apertura ai privati, è fondamentale ma va regolata in un contesto ben definito».
Soldi. Alla fine è una questione di bajocchi, tanti: il Macro costa circa sei milioni l’anno, parola del soprintendente Umberto Broccoli, e nelle sue casse ci sono due milioni freschi giunti dal comune – «il doppio di quanto si sia mai fatto», tiene a sottolineare Gasperini – oltre al milione e 200mila dati nella precedente gestione per l’anno in corso; con quello racimolato dagli sponsor si arriva alla soglia dei 4 milioni, il resto è un’incognita. Su questa partita, oltre che sull’assenza di una sponda politica più attenta alle esigenze della cultura, ha passato la mano Barbero. Ma l’assessore si mostra ottimista e semina fiducia a piene mani: «A settembre si farà la fondazione, a fine anno chiudiamo la partita. E se ci sarà bisogno reintegreremo con altri fondi questo primo stanziamento nel bilancio di previsione. L’arte contemporanea non è un lusso per questa città». Su questo, almeno a parole, tutti sono d’accordo.
Foto in hp: Davide Franceschini / Altrospazio