La Biennale sbarca a Roma

Un Vittorio Sgarbi meno logorroico del solito (se così si può dire per un soliloquio di un’ora e mezza in cui ha spaziato da Marco Pannella ministro della Giustizia alle scelte di Bice Curiger) ha tenuto a battesimo il padiglione Lazio a palazzo Venezia, la propaggine romana del suo padiglione Italia alla Biennale di Venezia. Più rapido del solito ma comunque puntuto nelle usuali polemiche: «Non comprendo – ha detto – come possa essere criticato l’impianto dell’operazione. Capisco le critiche personali ma quello dei padiglioni regionali mi è sembrato, così come le altre operazioni legate agli istituti italiani di cultura esteri e alle accademie, il modo migliore per celebrare l’unità d’Italia. Non volevo certo fare un manuale d’arte contemporanea». Tappa fondamentale, quella capitolina, dopo le prime inaugurazioni in giro per l’Italia (Veneto, Sardegna, Marche) e i primi problemi (Torino, che partirà a settembre al padiglione Nervi, e Napoli, dove c’è l’incognita-spazzatura che affoga il Cam di Casoria).

Insieme a lui, ad aprire le danze dell’esposizione Emmanuele Emanuele, presidente della Fondazione Roma, attore ormai fondamentale nel mondo della creatività capitolina con un contributo, stavolta, di 150mila euro sui 450 del costo totale dell’operazione: «Il padiglione laziale è uno dei pezzi più importanti della grande intuizione di Sgarbi – ha detto l’avvocato – mentre il paese tracolla bisogna avere la capacità di sognare: fare una verifica della situazione dell’arte in questo momento è stata la testimonianza più forte del vitalismo che ci contraddistingue, a me e a Vittorio». La coppia formata dal critico ferrarese, sempre perso dietro al suo telefonino, e dal presidente della fondazione era stata anticipata dagli interventi di Antonia Pasqua Recchia, direttrice generale per il Pabaac (Paesaggio, belle arti, architettura e arte contemporanea) del sottosegretario ai Beni culturali Francesco Maria Giro e di Alessandro Massimo Voglino, direttore regionale alla Cultura per la regione Lazio.

Tre sale del piano nobile di palazzo Venezia popolate da oltre 100 artisti. Per la precisione, 116 sui 500 di partenza. Anche se, come per tutte le altre mostre firmate dall’eclettico professore, il numero è destinato a subire variazioni in virtù di qualche aggiunta in corsa. «Avrei voluto il Maxxi – ha spiegato il curatore del padiglione Italia – che mi sarebbe parso il luogo naturale, visto che è un museo statale, per ospitare il padiglione. Non ce l’hanno concesso, ci sono stati tentennamenti, perso quello ci siamo ritrovati fra le braccia di Emanuele e della soprintendente Rossella Vodret. Ma va bene comunque: palazzo Venezia è una sede statale, adeguata anche grazie al gioco di parole sulla città lagunare, per ospitare la più importante esposizione fra quelle regionali». Fra le foto di Fabiano Parisi e Guido Fabrizi, papa Ratzinger di Jacopo Cardillo, le sculture di Mario De Luca, Patrick Alò, Annalisa Guerri e Francesca Tulli, il bozzetto di Dante Ferretti, la famigerata Treccani sott’olio di Benedetto Marcucci e i tanti lavori di pittura (pochissima videoarte, poche installazioni) saltano fuori nomi noti anche ai non addetti ai lavori come Alberto Di Fabio, Matteo Basilé, Bruno Ceccobelli, Tommaso Cascella, Maurizio Savini e Massimo Giannoni, questi ultimi selezionati dalla Fondazione Roma, che s’è riservata la scelta di 14 dei 116 partecipanti. Una buona rappresentanza della scuola di San Lorenzo, dunque, nonostante i "gran rifiuti" di Nunzio e Marco Tirelli.

Insomma, una Biennale «degli ultimi dieci anni, non degli inediti, tanto valida quanto quella veneziana. Anzi: è la Biennale di Venezia a Roma. Un’operazione, quella complessiva, che va contro una visione stitica dell’arte contemporanea. L’idea è quella di estendere lo sguardo, dare l’opportunità di mostrarsi a una schiera più ampia di quella dei soliti amici e parenti». Anche se, tuttavia, una parente di lusso c’è, nel "cast" convocato a palazzo Venezia: Teresa Emanuele, fotografa e figlia del presidente Emmanuele. Che, punzecchiato dalla stampa, non ha perso l’occasione per precisare di non aver «mai partecipato alle riunioni in cui è stata selezionata» e, d’altronde, di non sapere davvero cosa dovrebbe fare nella vita per non incrociare le proprie attività, «visto che sono avvocato, mi occupo di sanità, cultura, università e ricerca scientifica. Dovrebbe forse finire a fare la barbona?». Anche Sgarbi è tornato a scagliarsi contro i critici d’arte di professione, «tutti con la puzza sotto il naso». Stavolta nel mirino è finito, rimanendo in ambito di olezzi, il «puzzolente» Francesco Bonami. Amen.

Fino al 22 settembre
palazzo Venezia
via del Plebiscito 118, Roma
Info: 0632810

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