«La cultura continua a essere la Cenerentola della politica, invece va considerata una priorità». Parola di Gianfranco Fini (nella foto Ap/lapresse), intervenuto alla presentazione del settimo rapporto annuale di Federculture alla Camera dei deputati, appuntamento ormai usuale che fa il quadro sull’andamento del settore culturale nel corso dei 365 giorni precedenti. Al contrario di quanto si potrebbe pensare, e nonostante le polemiche sul Fondo unico per lo spettacolo (poi parzialmente reintegrato), la "vacanza" ministeriale dell’era Bondi e i tanti motivi di criticità, il documento dell’associazione capitanata da Roberto Grossi mostra che la domanda di cultura resiste. Anzi, è viva e dinamica. Le difficoltà date dall’ultimo triennio di crisi non sono certo passate ma il rapporto dipinge una schiarita che lascia ben sperare per il futuro.
L’indagine, emblematicamente intitolata La cultura serve al presente, estrae dal cilindro alcuni segnali più che positivi: la fruizione culturale nel 2010 – considerata nelle sue diverse articolazioni – è cresciuta, a partire dal teatro, che ha fattro segnare un +13,5% rispetto al 2009, seguito dai concerti di musica classica (+5,9%), da mostre e musei (+3,8%) e dai siti archeologici, nonostante la brutta pubblicità che l’Italia riesce a farsi fra crolli e cattiva manutenzione (+2,3%). Spulciando nel portafoglio degli italiani, invece, esce fuori che la spesa delle famiglie per cultura e spettacolo continua a rappresentare, decimale più decimale meno, il 7% della spesa totale. In dieci anni, tra 1999 e 2009, è aumentata in termini assoluti del 24,3%.
Il 2010 è stato dunque un anno di evidente ripresa dopo un biennio di forte calo. Per quanto riguarda i siti culturali statali, per esempio, sia in termini di visitatori (+6,4%) che di introiti (+7,4%) sono arrivati ottimi segnali. Riprende in sostanza quel "trend" in salita che nell’ultimo quindicennio aveva visto crescere costantemente i visitatori degli istituti statali, aumentati nel periodo del 30,3%. Nella classifica dei musei più visitati si evidenziano tutte variazioni positive, con alcuni casi da segnalare, come il Museo nazionale di Castel Sant’Angelo, che registra un +13,8% o Pompei che, "nonostante le drammatiche vicende dell’anno passato", incassa un +11,1%.
Gli investimenti pubblici, però, rimangono insufficienti: «Il rapporto – ha detto Fini nel corso della presentazione capitolina – presenta dati che fanno riflettere. Riferisce ad esempio che le risorse statali assegnate alla manutenzione e al restauro del nostro patrimonio sono passate dai 335 milioni di euro del 2004 ai 102 milioni attuali. Dunque tre volte di meno in sette anni. E tutto questo mentre l’azione corrosiva degli agenti atmosferici, dell’inquinamento e degli altri fattori di deperimento dei nostri monumenti è continuata implacabilmente. Guardando al quadro generale, risulta che l’intero investimento pubblico nella cultura, comprensivo degli interventi di stato, regioni ed enti locali, è passato dai 7,5 miliardi del 2005 ai 4,8 miliardi del 2011. Il rapporto ci ricorda anche che la spesa pubblica per l’istruzione in rapporto al Pil è nettamente inferiore a quella dei paesi Ocse: il 4,5 per cento in Italia mentre nella media delle economie più sviluppate del mondo è il 5,7%». E anche i privati faticano a sostenere i livelli di finanziamento degli anni passati: il valore complessivo delle sponsorizzazioni private è stato infatti di 1.454 milioni di euro, con un flessione del 9,6% rispetto al 2009.
Buoni anche i numeri dello spettacolo. I dati del primo semestre 2010 evidenziano infatti una spesa del pubblico di oltre 1.662 milioni di euro, con un +8,3% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. In crescita anche l’afflusso ai luoghi di spettacolo (+5,7%) mentre cala del 2,5% il volume d’affari che oltre alla spesa del pubblico comprende anche altri importi relativi alla realizzazione di spettacoli, come la pubblicità, i finanziamenti, i diritti televisivi e, appunto, le sponsorizzazioni.
Andando a scavare nei singoli settori, a trainare la crescita è il cinema, con numeri oggettivamente clamorosi (+43,4% di spettacoli e 13,2% di ingressi, con aumento della spesa del pubblico del 25,6%). Buoni risultati anche per il teatro che, nonostante un calo dell’offerta di spettacoli (–7,7%), vede in crescita sia gli ingressi che la spesa del pubblico (+3,78%). Per le mostre e le esposizioni, infine, la spesa del pubblico è aumentata del 43,8%. Fra i più attivi culturalmente, trentini e laziali.
«È del tutto evidente – ha osservato il presidente di Federculture Roberto Grossi – che il paese non può fare a meno di una politica per la cultura, che deve entrare a far parte delle strategie nazionali. Anche di quelle con le quali si combatte la recessione e si cerca di abbattere le inefficienze e i costi, di quelle per rilanciare l’economia e lo sviluppo, ricostruendo un clima di fiducia. L’Italia ha un potenziale enorme, e siamo tutti d’accordo nell’affermarlo. Ma mancano un progetto per il paese e una vera politica culturale. Non solo per la modestia del bilancio attribuito al ministero per i Beni e le attività culturali, per i conflitti di competenza con le regioni e i comuni, ma perché non emerge un disegno nel quale stabilire le priorità sulla base di una scala chiara di valori».