Linda Fregni Nagler è di certo una fotografa dalla mano esperta e sapiente ma ciò che rende il suo lavoro unico nel suo genere è l’innata abilità nell’inscenare in un contesto contemporaneo quei rarefatti scorci della vita ottocentesca mutuati da immagini anonime di repertorio.
La fotografia è dunque strumento e pretesto per rileggere la storia comportamentale umana, un’indagine sulle convenzioni iconografiche. Ogni epoca, infatti, conia degli stereotipi visivi per lasciare ai posteri una sorta di fermo immagine a testimonianza di “come si era”. Con la mostra "Shashin no Shashin", che in giapponese significa proprio “fotografare la fotografia”, prima personale dell’artista alla galleria Monica De Cardenas di Milano, la Fregni Nagler propone una storia che racconta la Storia, in immagini, del periodo Meiji (1868-1912), in particolare richiamando la cosiddetta Yokohama Shashin (fotografia di Yokohama tra cui si annoverano noti soggetti come "Wind costume", "Whispering in parlor", "The street singer", "Life on the Ocean wave"). Venti stampe in bianco e nero che ripropongono soggetti tipici della fotografia giapponese, dalla tradizione al mito, novelli "ready made", dove a prendere il sopravvento non è tanto il soggetto storico richiamato, quanto l’atmosfera nitida che lascia spazio alla ricostruzione, quasi maniacale, di ogni dettaglio.
Come sottolineava Victor Burgin quasi trent’anni fa: "The reception of photographs acts as a place of work, a structured and structuring space whithin which the reader deploys, and is deployed, by whatever codes he or she is familiar with in order to make sense" (Victor Burgin, "Looking at photographs", 1982). La Fregni Nagler diviene vera e propria scenografa dei suoi lavori, coreografa dei suoi personaggi, ricreando fondali di scena e stagliando su di essi soggetti perfettamente acconciati e vestiti secondo la moda e le movenze ottocentesche. Ma dov’è l’apporto innovativo dell’artista contemporanea? La perfetta ricostruzione che la Fregni opera, fa trasparire un voluto uso-abuso dell’artificio, che permette di intravedere nitidamente quel confine, tra passato e presente; la distanza culturale e temporale che ci separa da una tradizione estinta. L’artificialità marcata della fotografia diviene, dunque, variabile innovativa per parlare di ieri con gli strumenti e soprattutto con gli occhi di oggi.
Fino al 30 luglio
Galleria Monica De Cardenas
via Francesco Viganò 4, Milano
Info: 0229010068; www.monicadecardenas.com