Chi lo capisce è bravo. Con Vittorio Sgarbi, si sa, non si viaggia mai sul sicuro. Stavolta rischia di andarci di mezzo niente meno che il Padiglione Italia alla prossima Biennale di Venezia, in partenza fra una quarantina di giorni. In sostanza, nel centocinquantenario dell’unità nazionale, il paese ospitante rischia seriamente di mettere in mostra il nulla. O poco più.
I fatti, almeno nell’ottica del critico ferrarese, appaiono abbastanza chiari, per quanto burocraticamente stratificati: la mancata conferma della nomina ministeriale a Soprintendente del polo museale di Venezia, incassata in un sol colpo insieme alla curatela del Padiglione Italia in epoca Bondi, ha portato Sgarbi ad abbandonare la barca a poco più di un mese dal via. Detto con altre parole, il neoministro Giancarlo Galan (nella foto) si è riservato di designare il nuovo soprintendente in laguna tra i cinque dirigenti interni che hanno fatto regolare domanda, scalzando automaticamente Sgarbi dal prezioso scranno veneto. Il tutto innescato dalla Corte dei conti che lo scorso 8 marzo ha bocciato la procedura di nomina. Il Mibac, insomma, vuole evitare forzature (che avrebbe potuto mettere in atto ricorrendo al comma 6 previsto dal regolamento e nominando un esterno di fiducia) e dare seguito a quanto stabilito dalla sentenza della magistratura contabile. Fulminea la reazione dello Sgarbi furioso: «Lascio anche la guida del Padiglione Italia della Biennale, vorrà dire che se lo farà il nuovo soprintendente». E ancora: «Me ne vado ma non vedo perché non debba esserci spargimento di sangue».
Secondo il critico Galan sarebbe stato raggirato dai funzionari, colpevoli di voler blindare la "casta interna" «Galan è stato raggirato dagli interni – ha precisato lo scalmanato curatore in un fiume di dichiarazioni nelle ultime quarantott’ore – lui stesso al telefono mi ha detto che sono il migliore per la carica di soprintendente a Venezia, ma ha dovuto cedere ai suoi. È stato ingannato soprattutto dalla dottoressa Antonia Pasqua Recchia e dai funzionari che gli hanno tenuto nascosto che in passato al ministero altri sono stati nominati grazie al comma 6. Parlo di Mario Resca, di Rossella Vodret, di Vittoria Garibaldi, nominati senza concorso da Bondi per puro rapporto di fiducia. Resca veniva da McDonald’s, non ne sapeva niente di cultura eppure ora dirige la valorizzazione. Galan avrebbe potuto fare lo stesso con me che già sono dirigente in Sicilia, ma gliel’hanno impedito».
Il punto è, per Sgarbi (che tuttavia non avrebbe ancora formalizzato le dimissioni dall’incarico alla Biennale) che così viene meno la titanica operazione-Venezia, che lo voleva alla guida del Padiglione Italia e al contempo della soprintendenza locale. Ed effettivamente la sua drastica mossa lancia l’intera macchina che sta lavorando alla rappresenzanza tricolore nel caos più totale. Nicolas Ballario, organizzatore per conto di Arthemisia, spiega che le operazioni sono arrivata a «un punto molto avanzato. Abbiamo fatto un lavoro gigantesco: questa Biennale per il padiglione Italia doveva essere gloriosa, ora è tutto compromesso». Gli fa eco Duccio Trombadori, membro del comitato di studio del Padiglione Italia: «Completare l’impresa senza Sgarbi è impossibile: si tratta di un progetto faraonico, di difficile realizzazione». L’impressione, insomma, è che venendo a cadere il vertice della struttura, l’intero castello rischi di caracollare come fosse di carte da gioco. Anche perché sul tavolo non c’è solo l’esposizione all’Arsenale con i 150 artisti selezionati da un gruppo di 200 intellettuali, ma anche le Biennaline regionali – ciascuna allestita in una sede locale – che avrebbero dovuto diffondere sul territorio lo spirito dell’evento. La sede laziale, tanto per dirne una, è ancora in bilico: la Fondazione Roma ha sospeso il finanziamento per ospitare la mostra a palazzo Venezia.
E il ministro? «Chiederò a Sgarbi di ritirare le dimissioni. Posso capire che sia infastidito per la mancata nomina a soprintendente di Venezia, ma nessuno ostacolerà il suo lavoro alla Biennale. Sgarbi non poteva essere soprintendente, nominandolo non avrei applicato il regolamento in modo corretto». A dargli man forte il presidente della Biennale, Paolo Baratta, che rivolge a Sgarbi «un invito pressante. Senza di lui, andare avanti è complicato». Come in una delle più arzigogolate magagne della Prima repubblica, la combutta Sgarbi-Galan lascia quantomeno perplessi: fra smentite, agenzie, sfuriate e allusioni, domattina potrebbe già esserci una nuova storia da raccontare.