Se Vittorio Sgarbi ti definisce il “Giotto moderno” e la tua creatività si esprime principalmente sui muri spogli di Milano, devi avere veramente talento da vendere. È il caso di Bros, “writer” anarchicamente eccentrico, con un passato problematico con il comune milanese e un futuro promettente nel mondo “ufficiale” dell’arte. Nonostante i suoi primi graffiti risalgano al 1996, il trentenne Bros è conosciuto dai più solo in seguito alla consacrazione avvenuta nel 2007 con l’esposizione a palazzo Reale. Un botta e risposta, graffiante come una passata di bomboletta, per conoscere meglio uno tra i protagonisti delle nuove frontiere del contemporaneo. La chiacchierata con Bros precede di poche ore la sua curiosa performance, fulcro della nuova mostra milanese Squaraus colore dal corpo.
Chi o cosa ti ispira nelle tue creazioni, sia concettualmente che graficamente?
«Il critico Alessandro Riva ha scritto: “Il lavoro di Bros si snoda da anni tra critica radicale, spesso portata al limite dello sberleffo, della pratica quotidiana di supina accettazione del sistema di creazione artificiale delle immagini (e delle notizie) a cui è fatalmente soggetta la società contemporanea, e divertita e sistematica ridefinizione del tradizionale rapporto tra l’artista, l’opera d’arte e il suo pubblico”. Credo che abbia ben sintetizzato la ricerca dei miei ultimi progetti».
Il colore è sempre stato fondamentale nei tuoi lavori. Questa caratteristica denota ulteriormente il tuo iperrealismo?
«Ho lavorato parecchio sul cromatismo, è un aspetto basilare nei miei lavori. È interessante come combinarlo e modificarne l’intensità, quali colori compaiono solo in particolari condizioni e, soprattutto, come questi aspetti sono percepiti dall’occhio umano. Una parte del lavoro che sembra istintivo è in realtà scientifico».
Per un artista che nasce in strada, quanto è importante l’autopromozione e la riproduzione della propria identità creativa?
«Più che importante è intrinseca».
Oggi il corpo rappresenta per te il nuovo muro, ossia la tela sulla quale ti esprimi.
«Il dialogo tra l’opera e lo spettatore è senza dubbio una nuova frontiera del mio lavoro, ma se ripenso ai miei progetti rappresenta un passaggio obbligato del mio percorso. L’anello che lega tutti i miei lavori è il fruitore, parte indispensabile dell’opera. Ho cercato sempre più di avvicinarmi a chi guarda, fino ad arrivare, come in questo caso, a presentare un lavoro simile a una persona. Hai mai visto qualcuno che parla con un quadro?».
Nella personale milanese il progetto è stato pensato sia per gli spazi interni della galleria che per quelli esterni. Cosa rappresenta questo dialogo tra il dentro e il fuori?
«Il concetto di uno spazio espositivo a cielo aperto è stato per me importante fin dagli albori. In questo caso si parte da uno spazio privato, come una galleria d’arte dove avviene una performance, per poi sfociare in una parata pubblica che coinvolge attivamente sia i negozianti della via, che hanno acconsentito di partecipare al progetto ospitando una bandiera, sia le persone che passeranno in strada. I significati del passaggio tra pubblico e privato sono legati agli aspetti sociali e politici della comunità».
Una mostra che mette in scena una mostra, o meglio la sua vernice d’inaugurazione, per riflettere sui meccanismi interni del mondo dell’arte.
«In questi anni è stato più interessante e divertente andare a vedere l’inaugurazione di una mostra per osservare le persone che vi partecipano, piuttosto che le opere presentate. Squaraus è una critica ironica verso quella gente che ruota intorno a questo ambiente. Logicamente nessuno escluso, nemmeno il sottoscritto».
Raffiguri diversi soggetti, passando con destrezza dall’immaginario popolare a quello più ideologico, come nel caso di Lady D e l’Ultima cena. Nella nostra società alto e basso si fondono fino a confondersi?
«Sì. Spesso il telegiornale è un’opera d’arte contemporanea. Per questo Blob rimane tutt’ora la mia trasmissione preferita».
Ti confronti anche con altri mezzi espressivi, come la fotografia. Credi nell’ibridazione dei mezzi o sei un purista della bomboletta?
«La bomboletta è stata per parecchi anni un fidato strumento per poter risolvere degli aspetti pratici. Ma nel corso degli anni ho utilizzato diversi tipi di materiale, dallo smalto alla ceramica, dal legno al tessuto. Mi sono avvicinato alla fotografia anche grazie all’incontro con Cosimo Filippini. Insieme abbiamo realizzato diversi progetti, trasformando la collaborazione in dittici fatti di pittura e fotografia».
Come molti altri tuoi “colleghi” dalla strada sei passato a esibirti in luoghi più convenzionali come gallerie e musei. Una contraddizione o un’evoluzione?
«Le rare volte che ho partecipato a esposizioni in luoghi “istituzionali” ho potuto sviluppare meglio il progetto che avevo in mente. Ricordo una mostra nei locali della galleria Novalis di Torino, dove il mio intervento consisteva nell’oscurare le vetrine della galleria con delle pellicole adesive. Alla fine dell’intervento era nato un finto sexy shop. È stato divertente sapere qualche giorno più tardi che un rappresentante di prodotti pornografici si era presentato in galleria convinto di aver trovato un nuovo cliente».
Chiudiamo in bellezza. Come va con il comune di Milano e la sua crociata anti-graffiti?
«%%@ggggrrrrrrrr!!!sgruntϟϟ!!!ϟϟϟ».
L’ARTISTA
Milanese dal ricco curriculum
Daniele Nicolosi, in arte Bros, è nato a Milano il 5 ottobre 1981. Non ancora trentenne, vanta un curriculum già molto ricco: solo nel 2010 ha partecipato a nove mostre tra personali e collettive, l’ultima alla fondazione Arnaldo Pomodoro di Milano. Dai muri alla tela, dalla strada alla galleria, le sue opere ottengono un sempre maggiore riconoscimento e sottopongono di diritto Bros all’attenzione dei maggiori critici ed esperti d’arte. Nel 2003 si parlava di Bros soprattutto per i famosissimi “omini cubici”; dal 2007 le sue opere sono state esposte in prestigiose e importanti sedi, sino ad approdare al Pac e al palazzo Reale di Milano. Info: www.brosart.com.