Arte israeliana, tra Oriente e Occidente

Israele è un paese di piccole dimensioni, un luogo dove si cerca continuamente un incontro tra Medio Oriente e Occidente, dove il passato e il presente si toccano modellando lo stile e i costumi di un popolo eterogeneo, composto prevalentemente da immigrati. L’espressione creativa israeliana prende vita proprio dalla commistione di diverse culture, e forse è questo il punto di maggiore forza dell’arte locale che presenta da un lato una ricerca legata alla tradizione, dall’altro uno sperimentalismo poliedrico. Prima di entrare nel vivo della questione è bene fare una precisazione, non confondere l’arte israeliana con un’arte religiosa, essa al contrario è quanto di più laico e sperimentale si possa trovare.

L’arte israeliana nasce ancor prima della nascita dello stato, nel 1906, con l’apertura dell’accademia dell’Arte e dei mestieri Bezalel a Gerusalemme, voluta dall’artista di origine bulgara Boris Schatz per caratterizzare la cultura del futuro paese, tanto che vengono invitati a insegnare artisti ebrei con l’intento di dar vita a uno stile propriamente autoctono. Se inizialmente l’accademia favorisce soprattutto le arti applicate, negli anni Venti e Trenta, con le prime massicce immigrazioni, gli artisti cominciano a guardare al presente elaborando un’arte che risente molto dell’influenza europea. Una tendenza che avrà il suo “exploit” nel 1948, data della fondazione dello stato d’Israele ed anno in cui si costituisce il gruppo dei Nuovi orizzonti,che si pone l’obiettivo di svincolare la pittura israeliana dal suo carattere politico per condurla nella sfera dell’arte europea contemporanea, caratterizzata dal dibattito tra realismo e astrazione. Durante gli anni Sessanta e Settanta continuano a farsi sentire le influenze delle nuove ricerche internazionali, dalla Optical art alle Neoavanguardie, in particolar modo Minimalismo e Arte concettuale.

È in questo momento che si fa pregnante il tema del “luogo” che acquista di volta in volta un significato introspettivo, simbolico, fisico, geografico e politico, descrivendo il territorio israeliano nella sua complessità, come si evidenzia dalle ricerche di artisti quali Micha Ullman, Nahum Tevet, Dani Karavan e Menashe Kadishman. Quest’ultimo, nato a Tel Aviv nel 1932, va ricordato anche per la sua partecipazione alla Biennale di Venezia del 1978, voluta da Amnon Barzel, in occasione della quale presenta 18 pecore vive macchiate di blu, suscitando grande scalpore. Negli anni Ottanta e Novanta gli artisti si caratterizzano invece per una ricerca individuale di contenuti e senso propriamente israeliano, facendo uso di un’ampia gamma di materiali e tecniche. È il caso di Tsibi Geva, Michal Rovner e Sigalit Landau che centrano spesso i loro interessi sui drammi israeliani mediante la realizzazione di fotografie, installazioni video e performance, ricerca che trova la sua massima espressione con il nuovo millennio. Il passaggio dal XX al XXI secolo vede infatti l’arte del paese concentrarsi su un lavoro di sperimentazione e innovazione. Uno sguardo dunque alle nuove tendenze del contemporaneo che ha dato vita ad una Biennale dedicata al video, ai film sperimentali, all’arte digitale e alle videoinstallazioni.

Videozone, oggi alla sua quinta edizione, ha luogo ogni due anni al Centro di arte contemporanea di Tel Aviv, presentando oltre 150 video di artisti israeliani e internazionali, proposti da curatori provenienti da tutto il mondo, in modo da garantire una panoramica sia globale che locale della videoarte, quale espressione di realtà sociali, politiche e culturali differenti tra loro. Gli artisti israeliani contemporanei dimostrano pertanto di aver compreso il senso e lo spirito del proprio tempo, non solo per l’uso che fanno dei nuovi mezzi espressivi artistici e per le tematiche affrontate, ma anche e soprattutto per la piena consapevolezza rispetto all’importanza che detiene l’immagine in relazione al progresso dei mezzi di comunicazione e alle nuove tecnologie. Dunque, malgrado le loro diverse personalità, questi artisti hanno tratti in comune che provengono da un patrimonio condiviso, dalle loro origini storiche, sociali e culturali con cui affrontano i delicati rapporti tra luoghi e identità. Per restituire un’immagine completa del sistema dell’arte contemporanea di questo paese, bisogna citare anche i musei e le gallerie private. Un fermento che tende a farsi sentire sempre di più anche a livello internazionale, posizionando oggi Israele come uno dei principali paesi del contemporaneo, in cui si contano decine di gallerie e oltre 200 musei che registrano ogni anno milioni di visitatori. Anche in questo caso il lavoro degli spazi sia pubblici che privati è quello di creare un ponte tra Israele e la realtà artistica contemporanea internazionale. Ad esempio una delle più note gallerie israeliane, la Eden fine art, fondata alla fine degli anni Novanta da Mickey e Cathia Klimovsky, oltre ad avere sedi espositive a Gerusalemme e a Tel Aviv, ha aperto nuovi spazi anche a New York (Manhattan) e nella contea di San Diego in California, presentando celebri artisti israeliani tra cui Yoel Benharrouche e Mark Tochilkin, nomi che ritroviamo anche nei più prestigiosi musei, gallerie e collezioni private del mondo. Viceversa, la Ermanno Tedeschi gallery, con sedi a Torino, Milano e Roma, aprirà entro maggio uno spazio espositivo a Tel Aviv, dando ampia visibilità ad artisti italiani e internazionali, da Valerio Berruti a Minjung Kim. Per quanto riguarda i musei, che ospitano collezioni di archeologia ed etnografia fino ad arrivare all’arte contemporanea, sono sparsi in tutto il territorio, dalle grandi città ai kibbutz.

Tel Aviv in questo senso è ancora una volta uno dei luoghi più fervidi. La città, che nel 2009 ha festeggiato il suo centenario, è stata costruita in buona parte dai massimi esponenti del Bauhaus. Oltre quattromila edifici sono stati progettati tra il 1931 e il 1956 dagli architetti del movimento fondato da Walter Gropius, formatisi in Europa ed emigrati in Israele, che hanno saputo sostituire allo stile eclettico e orientaleggiante un’espressione più propriamente moderna e occidentale. Dichiarata patrimonio dell’umanità dall’Unesco nel 2004, Tel Aviv si presenta oggi come centro nevralgico dell’arte contemporanea per la presenza di numerosi musei. Il più noto è il Tel Aviv museum of art, fondato nel 1932, che ha inaugurato la sua attuale sede nel 1971. Oltre a ospitare una vasta collezione di arte classica e contemporanea prevalentemente israeliana, il museo ha un’ala dedicata ai giovani artisti e un auditorium in cui vengono presentati concerti e film. Ovviamente non mancano gli allestimenti di mostre temporanee. Un altro spazio interessante è quello di Petach Tikva, città poco distante da Tel Aviv. Fondato nel 1964 il Petach Tikva museum of art è un museo di arte contemporanea con opere di artisti israeliani e internazionali. Al momento della sua riapertura, nel 2004, la collezione, che parte dagli anni Venti, è stata ampliata con l’aggiunta di artisti tra i quali Rami Maymon, Dina Shenhav e Keren Assaf. Le esposizioni, guidate dal curatore Drorit Gur Arie, offrono un ampio spettro di temi che anno dalla sfera culturale israeliana alle questioni relative alla società mondiale in epoca contemporanea. Accanto alle mostre temporanee, il museo funge inoltre da piattaforma per un’ampia attività culturale, di ricerca e discussione critica di questioni chiave della società israeliana. Ma il più celebre museo del paese rimane il museo di Israele a Gerusalemme. Fondato nel 1965, dopo tre anni di lavori, lo scorso luglio ha riaperto al pubblico. Il museo, oggi diretto da James Snyder, ex direttore del Moma di New York, registra un ampio sguardo sul contemporaneo, e lo fa non solo attraverso l’esposizione di opere in situ appositamente commissionate, come il lavoro di due metri per tre di Olafur Eliasson e la scultura monumentale in acciaio di Anish Kapoor, ma anche attraverso esposizioni temporanee in  cui gli stessi artisti si calano nel ruolo di curatori dando luogo ad una chiave di lettura tra passato e presente.

Nel museo di Gerusalemme che copre dunque tutta la storia dell’arte fino alle nuove ricerche dell’arte contemporanea, come in altri spazi nel paese, spicca la collezione dada e surrealista donata da Arturo Schwarz, composta di circa 700 opere tra cui la celebre Fountain di Duchamp. Da qualche anno a questa parte la scena artistica contemporanea israeliana è seguita in tutto il mondo, tanto che i paesi occidentali cercano di restituire un quadro d’insieme delle nuove tendenze attraverso manifestazioni di vario genere. Negli ultimi anni in Italia si è data una certa visibilità all’arte israeliana, in particolar modo attraverso proficui scambi culturali e la realizzazione di mostre. Lo scopo di queste manifestazioni è quello di presentare gli artisti israeliani e le loro ricerche in Italia, dimostrando come attraverso l’arte si possa conoscere molto della storia di un popolo e di una nazione. È il caso di Israele arte e vita 1906-2006, realizzata a palazzo Reale di Milano nel 2006. Amnon Barzel, curatore della mostra, ha tracciato un percorso lungo un secolo perché, come lui stesso afferma «l’arte israeliana è storica e contemporanea». Nel 2007 è la volta di Schwarz che realizza a palazzo Bricherasio di Torino la mostra Israele. Arte contemporanea. Parlando degli artisti selezionati, il critico afferma: «La principale qualità che hanno in comune è una ricerca eccitante e rigorosa di sé stessi, unita alla creazione di un mondo di sogno e di riflessione, liberando così la vita dal giogo della routine quotidiana».

Nel 2009 il Vittoriano di Roma ospita As is: arte israeliana contemporanea, a cura di Ruth Cats. La mostra, realizzata in occasione del sessantesimo anniversario dello stato d’Israele: «merita un’analisi introspettiva e fa si che ci si soffermi a riflettere su quale sia il vero significato della sfuggente definizione di israeliano», come spiega la curatrice. Dunque il dialogo tra Italia e Israele continua a farsi sempre più proficuo, non solo nel campo delle arti figurative, ma anche nell’ambito della letteratura, del cinema e della musica. Conclude Ariela Piattelli, cofondatrice con Raffaella Spizzichino dell’associazione Golda international events che produce e organizza eventi culturali tra Italia, Israele e Stati Uniti, tra cui il Festival interazionale di letteratura ebraica di Roma: «Gli israeliani amano l’Italia perché sono attratti dalla cultura millenaria del nostro paese e ne riconoscono il valore e la bellezza. Per quanto riguarda l’interesse degli italiani nei confronti dell’arte israeliana, si tratta di un fenomeno relativamente nuovo che coincide con il grande successo del cinema, della letteratura, della danza e della musica d’Israele sulla scena internazionale. Gli italiani amano la libertà, la varietà e l’originalità con le quali si esprimono gli artisti israeliani».

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