I primi volti della sua carriera erano quelli di attori e musicisti e lo sono stati per circa nove anni. Fino a quando nel 1989 Laura Salvinelli decide di dedicarsi al reportage, seguendo associazioni umanitarie nei loro pellegrinaggi di soccorso per raccontare con la fotografia in bianco e nero le vite negli occhi di popoli a noi lontani. Attiva in Italia ma soprattutto a Roma con esposizioni che spaziano da reportage sui sindacati di lavoratrici autonome in India fino ai ritratti di esuli di guerra, è uscito a febbraio con la pubblicazione edita da Postcart “Hospital life in Afghanistan”, 87 fotografie in bianco e nero ritagliano il loro spazio in 127 pagine di stampato (edizioni Postcart), dove le strutture sanitarie afghane vivono le emergenze quotidiane di uomini, donne e medici nella disperata salvaguardia della vita propria e di quella altrui.
La fotografa ha seguito principalmente gli operati della Cooperazione italiana e dell’Aispo (Associazione italiana per la solidarietà tra i popoli), in particolare l’ospedale pediatrico, quello regionale e il Centro ustioni di Herat. «Per una ritrattista come me l’ospedale è un interessantissimo osservatorio sull’umanità tutta: prima o poi, all’ospedale ci vanno persone di ogni genere, età, religione, classe sociale, gruppo etnico. L’ospedale è dunque un forziere pieno di storie di sofferenza e speranza, in breve, di vita», ha detto. Nelle sue dichiarazioni trapela la volontà di testimoniare attraverso l’obiettivo quell’esistenza che si mantiene e che fa di tutto per restare terrena, in un luogo in cui il confine tra la morte e la vita è una soglia labile quanto visibile. Ma la drammaticità non sembra essere la caratteristica evidenziata dall’autrice: nonostante alcune location fotografate siano identificative di un posto esplicito come la sala d’attesa di un ospedale o il suo ingresso sopraelevato dalle scalinate, negli scatti della Salvinelli aleggia la speranza. Il movimento dei protagonisti e la loro momentanea quanto casuale semplicità esperessiva nel momento dello scatto, relega un accento positivo all’intera ricerca, che lontano da fotoritocchi crudi e appassionati lascia intatto al pubblico quello che l’obiettivo racchiude.
Le ombre sono bilanciate nei bianchi degli sfondi, non c’è ricerca di precisione stilistica, non si legge un’ossessiva geometria dello sguardo. Le linee guida della fotografia quasi scompaiono dietro alla diretta narrazione dell’immagine stessa e mentre prevale la luce, il nero evidenzia solo le scritte o alcuni indumenti. La vita scorre soprattutto lì.