Forse sarebbe ora di seppellirlo. Ma Pier Paolo Pasolini è un morto che cammina da oltre trent’anni. Un fantasma alla stregua di Aldo Moro. I due cadaveri “eccellenti” sui quali ancora oggi si aggrovigliano i pensieri di troppi, in cerca di una qualche risposta sulle loro morti premature. Sarebbe ora che i credenti si facessero il segno della croce e gli atei guardassero in un’altra direzione, sarebbe tempo di digerire un poeta, uno scrittore, un intellettuale contro il quale si è scagliato, a suo tempo, buona parte del mondo, per ricordarne, prima di tutto, l’uomo. Eppure sembra impossibile smettere di pensare all’autore di Ragazzi di vita. Perché impossibile appare ancora comprendere il modo di essere di un uomo, viscerale, minuzioso, ossessivo che meglio e più di altri è riuscito a descrivere, senza fronzoli o ricami, le assurdità di molte persone “normali”.
Oggi, dopo una serie numerosa di produzioni letterarie a lui dedicate, arriva in libreria un volume fotografico a firma di Dino Pedriali, (Pier Paolo Pasolini, Johan&Levi editore, 120 pagine, 38 euro), un libro che ha l’ambizione di svelare un Pasolini inedito, come se ancora fosse possibile, attraverso settantotto scatti raccolti pochi giorni prima la morte dello scrittore tra le dune di Sabaudia, in quella casa che Pasolini divise con Alberto Moravia e Dacia Maraini e la campagna di Chia.
Era la metà dell’ottobre 1975 quando il fotografo, appena ventenne, chiese a Pasolini di poterlo ritrarre con la sua macchina. Il poeta acconsentì chiedendogli di seguirlo sul set del suo ultimo film, ma Pedriali voleva immortalare l’uomo prima che il regista, e così nacque una sorta di reportage nel quale l’autore di Casarsa mise a nudo sé stesso nel segno dell’ennesima provocazione verso un mondo, quello degli intellettuali e politici soprattutto, che più per paura, era sempre stato pronto a difendersi dalle sue parole.
A Sabaudia Pedriali, di cui il biografo Barth David Schwartz avrebbe raccolto all’indomani dell’omicidio Pasolini la confessione di un rapporto sessuale avuto con lo scrittore successivamente ritratta, riproduce qualcosa di unico e irripetibile. Come scrive precisamente Marco Belpoliti nel suo Pasolini in salsa piccante, il merito del fotografo romano, diversamente da altri artisti che ritrassero l’autore di Scritti corsari, come Ugo Mulas o Mario Dondero, risiede nella capacità di mostrare Pasolini proprio come lui stesso voleva essere visto. «Il voyeurismo di Pasolini su sé stesso è trapassato nelle fotografie di Pedriali». Una sorta di osmosi tra i due sguardi, quello del fotografo e dello scrittore, dove l’uno si piega nell’altro e dove l’altro si spiega nelle scelte del primo.
Parafrasando ancora Belpoliti, nelle fotografie di Pedriali Pasolini c’è e non c’è. C’è la nudità del suo corpo svelata negli scatti di Chia e la solitudine di un uomo e di un intellettuale che passeggia per le strade deserte di quella roccaforte fascista che ancora conserva le effigi di un’epoca sbagliata. Come se quello che si vede nelle fotografie «non fosse solo un corpo, bensì il fantasma di un corpo, il doppio corpo di Pier Paolo Pasolini».
Ecco di cosa si compone questo reportage che svela ineditamente lo scrittore nato a Bologna. All’inizio quaranta scatti realizzati a Sabaudia e settanta a Chia, di cui trentasei nudi dello scrittore e le restanti che raffigurano Pasolini dietro la macchina da scrivere, curvo sulla scrivania, di spalle mentre cammina e scenari e scorci dell’ambiente circostante. All’osservatore è concesso il “lusso” di ammirarne settantotto, cercando di scoprire qualcosa in più di un uomo che aveva il coraggio di descrivere le “cose” semplicemente per quello che significavano.
«Non mostrare a nessuno queste fotografie», fu il monito che Pasolini sussurrò a Pedriali all’inizio del lavoro. In un primo tempo si ipotizzò che gli scatti dovessero andare a corredare l’ultimo romanzo dello scrittore, Vas, poi invece, come ricorda Pedriali, le foto sarebbero state utili in Petrolio. Ma su questo è inutile soffermarsi. Non vennero pubblicate in nessuno dei due. Una cosa è certa: dalle fotografie emerge la dualità dello scrittore, un tema letterario, tra l’altro, molto caro a Pasolini fin dagli esordi. Un uomo e un pensiero scisso in due parti, come il bianco e il nero, come l’affermazione e la negazione, gli unici poli nei quali Pasolini cercò di definirsi e dai quali tentò sempre di fuggire.