Fiat lux. Si narra che la frase sia stata pronunciata da Dio, primordiale atto fondativo che nel giro di una sola settimana portò alla creazione dell’intero universo. Quindi prima di tutto, prima dell’uomo e prima della sua presa di coscienza e conseguente fuga dall’Eden, arrivò l’elemento illuminante. L’espressione, tratta dalla Genesi, viene comunemente utilizzata in riferimento a situazioni chiarificatrici, a individui capaci di esprimersi con chiarezza diradando ambiguità e dubbi. Così nell’arte, la luce è componente diffusa, soggetto ispiratore, strumento vivo di lavoro, da domare e indirizzare sapientemente per raccontare la realtà e “chiarire” le turbolenze dello spirito. Il raggio sulla tela, declinato in tonalità e gradazioni infinite, nei secoli ha prodotto capolavori: quelli culminati di volta in volta in accecanti verità, dell’anima e della vita. Il vincitore della terza edizione del Talent prize, il fiorentino Giovanni Ozzola, classe 1982, trionfa proprio con un lavoro sulla luce e di luce: pennellate di raggi di sole al tramonto impresse sul muro di fronte alla sua scrivania e da rivivere in un video della durata di poco più di due minuti. S’intitola Superficiale-“Under my skin”: «Lo considero il manifesto del mio lavoro», dice l’artista, premiato tra gli emergenti ma già saldamente in sella alla carovana dell’arte contemporanea internazionale. Lo incontriamo, infatti, di ritorno da Istanbul, dove ha inaugurato la personale “On the edge” all’Elgiz museum of contemporary art. «Ho appreso la notizia del premio proprio mentre ero impegnato nell’allestimento: sono molto contento, è una soddisfazione indubbia ed è stato motivo di festa anche per gli organizzatori dell’esposizione in Turchia».
Eppure, forse per modestia o per schietta ammissione, non ci sperava. «Quando ho deciso di presentare quest’opera – confida – non credevo che la scelta fosse azzeccata. Un video è più difficile da visionare, soprattutto in un tempo breve. Ho confidato nella giuria di alto livello. Il lavoro l’ho scelto perché è importante per me, racconta e spiega la mia opera, spesso confusa con la pratica della post-produzione, del ritocco delle immagini». E quello che abbiamo davanti quando incontriamo la produzione di Ozzola sono immagini incatenate alle visioni, impresse in istanti indeterminati, come nell’esposizione dello spettatore a una foto, o nel tempo determinato imposto dal video, come in questo caso. A prescindere dal mezzo, l’obiettivo è sempre quello di catturare le immagini, in un luogo prossimo alla soglia della conoscenza non filtrata. Ma è lo stesso artista a spiegare le modalità dell’atto creativo. «Vengo dalla fotografia commerciale – racconta – lì ho imparato a dividere l’idea che abbiamo delle cose da ciò che è reale. Nel mio lavoro ciò che si manifesta sono delle immagini, delle situazioni, delle epifanie. C’è sempre una naturalezza, una percezione obiettiva. In “Under my skin” c’è un’inquadratura fissa su ciò che succede davanti alla mia scrivania tutti i giorni, il ripetersi del tramonto, del passaggio dalla luce al buio. Il soggetto dell’opera è dunque il tramonto. Sono inquadrate due pareti bianche sulle quali avviene un passaggio di luce, graduale fino all’oscurità. Nella registrazione iniziale di cinque ore si vedono tutti i vari spettri della luce. Concentrando l’intero lasso temporale in poco più di due minuti si riesce veramente a vedere il passaggio tonale che avviene tra la luce e il buio, perché l’occhio non ha il tempo di abituarsi. Quindi è un discorso sulla percezione, sulla sensibilità, sul tempo e sulla predisposizione che abbiamo verso ciò che ci circonda. Noi costantemente riprogettiamo, in termini di luminosità e colore, ciò che guardiamo, per tutta una serie diiparametri culturali. La contrazione temporale nel mio lavoro non permette al cervello questo processo di riprogettazione». E così, attraverso l’atto creativo e la sua conseguente fruizione, si giunge alla visione, intonsa, ripulita e pura. La natura appare svelandosi senza preconcetti. «L’accelerazione della cinque ore di registrazione nei due minuti e tredici secondi del video – continua l’artista fiorentino – permette la purezza nello sguardo di chi osserva, non c’è tempo né per l’occhio né per il cervello di aggiustare i colori percepiti, così facendo si riesce a vedere la vera natura di ciò che ci circonda. Il lavoro consiste proprio in questa esperienza.
Per questo motivo, in mostra, la proiezione del video viene accompagnata da una traccia oggettiva e persistente del lavoro, la stampa dello storyboard che rimane a raccontare in ogni momento l’esperienza avuta nel video ricordando la grandiosità e la meraviglia dell’addizione: realtà, visione, sensibilità, conoscenza». Un’opera che ha impresso nello spirito e negli intenti le prerogative della pittura. «Mi sento effettivamente un pittore, se dovessi classificarmi – spiega Ozzola – La pittura ha dentro una serie di conoscenze imprescindibili: un quadro viene realizzato con il tempo, in ogni singola pennellata c’è un momento della propria vita, non in termini di quotidiano, ma di concezione, di presa di coscienza di ciò che uno guarda. È una sorta di studio continuo di ciò che hai di fronte, il senso temporale proprio della pittura. Sia nelle mie fotografie che nei video e nelle installazioni credo che questa idea di predisposizione, questo modo di cercare di capire ciò che si trova di fronte a noi riporti al senso temporale tipico della pratica pittorica». Trasversalità delle modalità espressive per un approdo originale e d’impatto. Ma durante la fase della realizzazione, l’artista non fa calcoli se non con se stesso. E sottolinea: «È molto difficile dare una definizione del proprio lavoro. L’originalità può essere afferrata da chi vede la mia opera per la prima volta. Ma questa fa parte di me e quindi mi è difficile avere la coscienza e l’intuizione della componente originale. La questione sui differenti media utilizzabili la trovo spicciola. Ciò che mi interessa è il materiale sensibile, l’idea che noi stessi siamo materiale sensibile, la luce ci tocca in tutti gli aspetti della vita. Mi interessa lo sguardo nell’arte, il modo di vedere il mondo, il come è irrilevante».
E mettendosi dalla parte dello spettatore? Lo chiarisce il primo critico che ha creduto in lui, Pier Luigi Tazzi: «Tutta la sua opera è fatta di immagini, fisse (le fotografie), in movimento (i video), e quali esito di una costruzione (le installazioni, e le mostre, che non sono tanto pura e semplice messa in esposizione di opere, bensì sono articolate come opere in se stesse, le cui componenti sono a loro volta opere, che tuttavia mantengono, fuori, dentro e dopo la mostra, la loro rispettiva e specifica autonomia). Tutte, in qualsiasi medium siano state realizzate, invitano non tanto ad esser guardate a distanza nella loro fissità iconica, quanto a esser parte di un ambiente condiviso dove opera e spettatore nelle loro rispettive differenze godono di una pari autonomia». «Quello che mi piace – spiega l’artista – è l’idea della predisposizione con cui guardare il mondo, come recuperare un momento di concentrazione, attenzione e unione dei sensi. Un po’ come quando ci si trova al buio: per capire cosa abbiamo di fronte dobbiamo riunire tutti i nostri sensi e sforzarci di afferrare ciò che ci sta di fronte. Questa è una buona condizione per qualsiasi attività umana». Una pratica cui siamo chiamati a partecipare il 21 ottobre, con l’esposizione dei finalisti e dell’opera vincitrice del Talent prize alla centrale Montemartini.
L’ARTISTA
Alla ricerca dell’immagine
Giovanni Ozzola nasce a Firenze il 13 marzo 1982. Dopo alcuni anni trascorsi a Londra nel 2001 ritorna in Italia, comincia a sviluppare un proprio percorso artistico che lo porta, nel 2001, a partecipare alla mostra “Happiness, a survival guide for art and life”, a cura di David Elliott e Pier Luigi Tazzi, al Mori art museum di Tokyo. Da quel momento il centro della sua attenzione fa riferimento alla luce come materia per la formulazione della propria visione. Definisce centro del suo lavoro l’interesse per lo spazio tridimensionale e la luce, sviluppando una ricerca sull’immagine mentale e l’essenza del soggetto. Numerosi gli spazi espositivi in Italia e all’estero che hanno accolto mostre di Giovanni Ozzola. Attualmente vive a Parigi e Prato. Info: www.giovanniozzola.com.