Che la cultura possa essere qualcosa di trascurabile è cosa nota. Basta prendere atto delle ultime vicende che hanno interessato il rapporto che questa "sciagurata" ha intrecciato con il governo italiano. Dalle accademie sinfoniche che hanno visto ridurre il proprio budget annuale al cinema e alle sue vicende economiche e "morali" con i tagli ministeriali al Fus e le polemiche mosse dal ministro Sandro Bondi al festival di Cannes contro il film di Sabina Guzzanti sulla ricostruzione post-terremoto dell’Aquila e le esternazioni di Elio Germano, premiato in Francia come miglior attore. Per non parlare della (dis)attenzione rivolta all’arte contemporanea. Insomma non è proprio un periodo facile per la cultura in senso generale. E non importa che questa indossi i panni della cinematografia, della danza o del teatro o ancora delle arti figurative e delle espressioni più moderne.
Ora a cadere nel mirino alcuni tra i più prestigiosi centri culturali che da anni promuovono l’arte contemporanea. I tagli ai finanziamenti pubblici, infatti, rischiano di compromenttere seriamente l’attività del Mart di Rovereto, della Gam di Torino, del Man di Nuoro e della Gcac di Monfalcone. Solo lo scorso martedì, l’Amaci, l’associazione che raggruppa i principali ventisei musei d’arte contemporanea italiani, ha lanciato l’allarme, sottolineando come un ulteriore taglio provocherebbe danni reali alle attività dei suddetti musei. Perché è bene ricordarlo: i musei e le fondazioni private sono ancora molto pochi, i principali centri d’arte godono ancora dell’aiuto degli enti pubblici, dai comuni alle regioni fino alle province. In sostanza se dovesse ridursi ancorail portafogli dei sostenitori il danno sarebbe tutt’altro che marginale. Dalla presidenza dell’associazione, Gabriella Belli, ha sintetizzato l’attuale situazione: «Da un lato c’è una crescente domanda di arte contemporanea. Dall’altra i centri trainanti, Milano, Torino, Bologna e Roma, continuano a subire dei tagli» e se questa situazione dovesse dimostrarsi continuativa, gli effetti tangibili sarebbero la difficoltà nel portare avanti una seria e valida stagione espositiva.
Vogliamo azzardare qualche cifra? A Napoli da una parte il Madre è in rosso mentre Castel Sant’Elmo, che da poco ha inaugurato il museo del Novecento, ha a disposizione zero euro per le proprie attività espositive. A Roma la Gnam può contare su un budget di 100-150mila euro, che benché rappresenti una cifra ragguardevole, è ben lontana dai finanziamenti che la galleria d’arte moderna aveva con Palma Bucarelli. La Gam di Torino, invece, dopo un taglio del 30% ai propri fondi, capace di ledere la qualità delle esposizioni, riducendo il cartellone delle mostre, attende altre riduzioni. Dal ministero dei Beni e alle attività culturali non arriva nessuna replica né tanto meno una parola di speranza. Tra le sale di via del Collegio Romano l’attenzione è rivolta al passato, come accusa Mario Lolli Ghetti a capo della Direzione generale per il paesaggio, le belle arti, l’architettura e l’arte contemporanee del ministero. «L’Italia non può essere soltanto quella dell’archeologia, del Rinascimento e del barocco. Insomma non si vive di solo Caravaggio». Non sembra, però, che tutti l’abbiano capito.