La vivacità di Favretto

L’intimità di uno scorcio veneziano, l’immediatezza di un mercato, la vivacità di una festa in piazza. È questo l’universo in cui orbita Giacomo Favretto, il più importante pittore veneto dell’Ottocento, vissuto appena 37 anni (1849-1887). A lui Roma dedica la prima retrospettiva che inaugurerà venerdì 24 al Chiostro del Bramante. A cura di Paolo Serafini, la mostra intende far luce sull’intera opera dell’artista, presentandone cronologicamente i lavori più significativi – provenienti sia da collezioni private che musei, tra questi spiccano alcuni capolavori che furono del Re – e contestualizzandoli socialmente e artisticamente.

Accanto a tele autografe, dunque, quelle di tanti “colleghi” e maestri, utili per valutare storicamente la portata del suo linguaggio e fornire al visitatore gli strumenti necessari per comprenderlo, evitando così incontri al buio. Se per osservare in pace l’Annunciazione di Nancy del Caravaggio bisognerà aspettare che termini la mostra attualmente alle Scuderie (per preventivare un viaggio in Francia), non si può dimenticare come il Potere e la grazia – ospitata a palazzo Venezia qualche mese fa – abbia registrato l’impennata decisiva nell’affluenza di pubblico solo dopo l’arrivo del san Giovanni Battista di Leonardo da Vinci. Che i grandi nomi catalizzino l’attenzione è risaputo, che si promuovano iniziative volte a smascherare prodigi misconosciuti è da considerare come un’occasione di arricchimento.

Il percorso espositivo si apre con le composizioni del giovane allievo all’accademia di Belle arti di Venezia, e con quelle dei suoi professori tra cui spiccano quattro tele di Napoleone Nani; prosegue con i piccoli dipinti degli anni Settanta, la loro fortuna consacrata dall’esposizione di Brera del 1873, allo stesso tempo inaugurale della moderna scuola veneziana. A questo proposito grande spazio è lasciato agli altri rappresentanti di spicco della pittura veneta del periodo: da Alessandro Milesi a Ettore Tito, con particolare attenzione a Luigi Nono e Guglielmo Ciardi cui è dedicata un’intera sala. Il 1878, anno chiave per l’artista, è testimoniato in mostra da opere fondamentali quali Il sorcio, esposto a Brera, e In sartoria, presentato all’Esposizione universale di Parigi. A cavallo col decennio successivo, Favretto è ormai un artista completo, tanto che all’Esposizione torinese del 1880 il critico Filippi scrive di lui: «Giovane piccino, più che modesto, timido, trasandato, che a vederlo non ci si darebbero due soldi. Sotto quella apparenza meschina sta un osservatore profondo, un grande artista nel senso vero della parola. Egli ritrae la vita esteriore casalinga del popolo veneziano con una verità da far strabiliare, e a questa verità aggiunge un colore potente luminoso, sodo, disegno accurato, una tecnica di pennello sorprendente, ottenuto dagli effetti veri e dalle apparenze minute con un’incredibile semplicità dei mezzi».

Alla semplicità dei mezzi si affianca quella dei soggetti ritratti: in Dopo il bagno (1884), conservato alla Galleria di arte moderna di Roma, il gesto naturale della donna che si asciuga aiutata dalla fantesca assume, complice la luce e la pennellata vibrante, un tono quasi rituale. Giacomo Favretto muore a Venezia durante l’Esposizione nazionale del 1887 lasciando in eredità ai pittori successivi la sua cromia seducente.

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