Boris Hoppek, dai graffiti alla vagina

Gustave Courbet, nel 1866, aveva considerato la sessualità femminile come “l’origine del mondo”, ritraendola nel suo realismo anatomico, evocandone l’immenso valore archetipico di passaggio tra il nulla e la vita. Oggi Boris Hoppek la definisce candidamente “Lavagina” e la sponsorizza attraverso cataloghi-riviste porno in una versione surreale: latex giallognolo e una peluria davvero esagerata che sostituisce la realtà sui nudi integrali di splendide modelle. Hoppek non ama parlare dei suoi lavori, né tantomeno spiegarli. E non apprezza le interpretazioni soggettive: «Sono interessato alla vita reale e alle persone, e di ciò fanno parte anche la sessualità, le relazioni, il razzismo e tanto altro». Pare che la poesia di un paio di secoli fa, quando si parla della sessualità femminile, si sia persa e appiattita. Sarà che oggi il sesso viene spacciato come svenduto divertimento, libero e libertino, che poco ha a che fare con l’origine della vita. Niente di più falso, e Hoppek tenta di mostrarcelo. Sembra essere così, visto il sovradosaggio di messaggi erotici che ci arrivano, ma la sessualità femminile, direttamente e indirettamente, è ancora vista come un tabù e conserva ad oggi una buona dose di misticismo proibito.

Una vagina falsa al posto di una vera può indurre a mostrarci quello che vogliamo vedere. Come una donna nuda con il volto coperto da uno scatolotto con occhi e bocca stilizzati. Ma nella realtà non c’è nulla di così esplicito perché la sessualità femminile, il più delle volte, si preserva grazie a un autodidatta senso del pudore. La libertà sessuale, insomma, non esiste e questa porno-arte cerca di mostrarcela nonostante sia ancora costretta nella morsa di arcaiche credenze. Permeata da una forte connotazione di denuncia globale, l’arte che affonda le radici nell’urbano dipinge a tinte sarcastiche le persone e le loro debolezze. E la street art che ha abbracciato l’Hoppek ventenne ancora oggi influenza ampiamente la sua tecnica e la predilezione della città come contesto artistico.

Abbiamo quindi donne trasformate in porno-sushi, dal tratto semplice e immediato, cariche di sensualità e ironia. E uomini che diventano bambole di pezza, come i suoi “Bimbos”. Riguardo ai graffiti, l’ultimo nato è “Group love”, l’opera in situ eseguita a metà gennaio al Macro future di Roma, concepita come l’emblema del fallimento delle strutture famigliari che «pur dando l’idea della monogamia non funzionano e il futuro sarà avere rapporti diversi allo stesso tempo». Come l’involucro del messaggio è goliardico e pacato, così le opere di Hoppek divengono metafora sociale. E la sua pornografia, in questo frangente, non scandalizza e diventa una piacevole visione, artistica e decontestualizzata, con un grido che la sottende: la voce della libertà intellettuale.


L’ARTISTA

Ex hippy padre degli C’mons

Boris Hoppek nasce il 7 dicembre 1970 a Kreuztal, in Germania. Vissuto nella cultura hippy, si avvicina alla street art nel 1990, sperimentando le tecniche del graffito e le creazioni con materiali poveri. Negli ultimi anni ha esposto nelle gallerie di tutto il mondo, affermando la sua fama a livello internazionale. Fortunatissimi i suoi C’mons, bambolotti divenuti testimonial della Opel. Vive e lavora a Barcellona. Info: www.borishoppek.de.