Il vernissage della mostra I mutanti è previsto per oggi pomeriggio (29 marzo) alle 18.30 a villa Medici, sede dell’accademia di Francia a Roma. Dopo le esposizioni di Gérard Garouste e Beatrice Caracciolo, già ideate da Frédéric Mitterrand predecessore di Éric de Chassey, il nuovo direttore inaugura con la primavera la sua programmazione personale e tiene a specificare che a debuttare non è una collettiva ma cinque monografiche. Dal basso in alto – e senza alcun intento classificatorio – Adel Abdessemed, Djamel Tatah, Stephen Dean e Adrian Paci si danno il cambio dagli ambienti della cisterna romana allo scalone principale, mentre Ellen Gallagher è per così dire confinata nell’atelier del bosco.
«Il concetto fondamentale che si vuole esprimere con questa rassegna – afferma de Chassey – è quello dell’identità contemporanea, intesa come linguaggio comune ai cinque artisti e allo stesso tempo insita nella natura di villa Medici, che si trova nel cuore di una città la cui storia è caratterizzata da ibridazioni consecutive». In questo senso l’accademia si pone come simbolo dei cambiamenti del mondo contemporaneo poiché è sempre più aperta al nuovo e al mondo in generale. I mutanti offrono a de Chassey la possibilità di dimostrare effettivamente il concetto, a lui molto caro, secondo il quale il ruolo degli artisti non sia dare risposte ai quesiti della quotidianità ma, invece, porre interrogativi. Di concerto con questa tesi è nata e si articola la mostra, visitabile fino al 6 giugno, le cui opere sono state pensate e poste in essere proprio con lo scopo di suscitare domande e stimolare alla riflessione.
D’altronde, chi più di un artista è in grado di guardare al nuovo? I mutanti esprimono la pluralità dell’oggi non solo dal punto di vista sociologico ma anche attraverso vere e proprie tecniche ibride. Così, per esempio, in Tatah l’ibridazione è un modo di lavorare, un processo mutevole che inizia dalla fotografia, e quindi da qualcosa che è già presente, passa al lavoro al computer e finisce sulla tela. Tra le opere in mostra catturano l’attenzione le proiezioni video di Abdessemed, in primis Dio, realizzata espressamente per la rassegna e girata nel giardino di villa Medici. Nella buia e umida cisterna romana, così suggestiva da togliere il fiato, si snoda la via crucis contemporanea messa in scena dall’artista, una performance che vede coinvolti 200 uomini in jeans e camicia bianca. “Pressoir, fais-le” (2002), invece, è un loup di tre secondi che immortala un piede che schiaccia un limone, simbolo di negatività e ironia. Scrive de Chassey che «l’artista utilizza delle immagini e il loro potenziale spettacolare per ripiegarle su una dimensione a suo avviso molto più fondante, la loro natura di atti». Originale poi che nella durata della mostra si inseriscano due elementi diversi: la performance musicale del cantante e compositore franco-algerino Rachid Taha (che si svolgerà questa sera) e il progetto, annunciato in anteprima dal direttore durante la conferenza stampa, di un lavoro comune immaginato dai “pensionnaire” di villa Medici, i diversi artisti residenti nel palazzo, che aprirà al pubblico il 4 maggio prossimo. Questa iniziativa caratterizzerà dunque l’ultimo mese della mostra, trasformandola ancor più con nuove contaminazioni e stimoli.
Info: www.villamedici.it