Il sipario si apre su Parigi, fari puntati su un’insolita star, una figura nota al mondo intero per la propria creatività, che esordisce dicendo «la genialità talvolta sta proprio nel saper tornare bambini». Questo lo spirito con cui Beat Takeshi Kitano, poliedrico artista, noto per la sua versatile originalità a tutto campo, invade la fondation Cartier di Parigi. Il proposito è stato quello di riuscire ad imporre nuovi significati alla parola “arte”, nuove chiavi di lettura e nuovi schemi, tali da redimerla dalle attribuzioni più convenzionali e dagli snobismi della cerchia elitaria che ultimamente ne monopolizza il settore, dunque: ok il bello, ma w il kitsch!
“Gosse de peintre” è l’insieme di pitture, sculture, giochi, video, oggetti surreali, macchine del tempo, ambientazioni fantastiche, attraverso cui Beat Takeshi conduce il visitatore in un viaggio ludico alla ricerca della giusta ricetta per beffarsi allegramente dell’arte contemporanea. La passione per la storia e le scienze divengono un’insolito ingrediente per attaccare con sapienza i luoghi comuni e gli stereotipi del Giappone, suo paese di origine. Difficile qualificare in poche parole il deus ex machina, un creativo orientale, pare altamente riduttivo, per inquadrare colui che nella propria vita ha fatto di tutto, ed in tutto è riuscito alla grande.
C’è chi lo ricorda come regista, chi come attore, presentatore, comico, in pochi fortunati lo stimano come pittore, molti sono i fans della sua scrittura, ma perché no eroe nazionale, o forse solo uomo comune, enfant prodige è di certo la migliore qualificazione. L’esposizione si apre all’insegna di una gran forza centripeta, un movimento continuo, guidato da due abbagli costanti: la nostalgia per l’infanzia ed il recupero di quelle immagini nate per la cineticità dei film, e cristalizzatesi in colorate pitture. Da sempre restio ad istituzionalizzare ed esporre il suo lavoro più strettamente artistico in spazi pubblici, Kitano ha accettato l’invito della fondazione Cartier solo a seguito dell’incontro con il direttore Hervè Chandés, il quale sostiene di averlo letteralmente “incastrato” proponendogli un progetto rivolto per lo più ai bambini, a lui molto cari, «ho pensato che l’unica soluzione per convincerlo a collaborare, fosse proporgli una nuova sfida, fornendogli la possibilità di creare una mostra che fosse allo stesso tempo una mega globale installazione, qualcosa di mai realizzato prima».
Queste le premesse di “Gosse de peintre“, progetto oggi definito da Takeshi «caleidoscopico e senza regole». Chiari al pubblico di estimatori i riferimenti autobiografici dell’artista, sagaci e subdole le provocazioni impregnate di cultura popolare, che fanno sorridere i “giappofili”. È inspiegabile come l’originale melange di storia, fiaba, scienze derise, satira delle tradizioni, rendano d’un tratto il museo un vero e proprio parco di divertimento con tanto di giostre. I visitatori sono da subito invitati ad interagire con le varianti multiformi di un percorso ludo-pedagocico, che dove non spiega a parole, mostra attraverso immagini. Talvolta bastano degli insoliti media comunicazionali per scoprire le più difficili teorie scientifiche sulla scomparsa dei dinosauri, per apprendere l’aritmetica, gli assiomi, le leggi della fisica, e persino per capire le strategie di difesa dell’armata imperiale giapponese.
Animali fantastici e pesci transgenici a forma di sushi sfilano tranquilli in un corteo rocambolesco, prima di confluire in una sorta di calderone incandescente che funge da piccante metafora dell’arte contemporanea. Bambini e adulti vengono letteralmente rapiti in una sorta di paese dei balocchi, dove si deve solo scegliere da cosa farsi tentare maggiormente: il profumo della bancarella delle crepes e delle gaufres potrebbe essere un buon inizio, senza nulla togliere al carretto dello zucchero filato, per poi godersi la merenda davanti al teatrino delle marionette. Per i meno golosi si può passare direttamente con maggior rigore agli atelier di pittura, dove dei pazienti giovani artisti saranno a disposizione per insegnare qualche segreto del mestiere agli aspiranti montmartrini.
Takeshi Kitano nell’ideare questo percorso multisensoriale, ha scientemente voluto immergere lo spettatore in un vestibolo artistico-edonistico, prima di lasciare libero accesso alle proprie pitture, sino ad oggi custodite gelosamente nell’alveo della più personale creatività. “Gosse de peintre” è un titolo emblematico per colui riteneva di poter solo caparbiamente custodire, senza mai esporre, il gran numero di dipinti, frutto di quel che non poteva considerasi più di un semplice hobby; Takeshi, infatti, quando parla della sua attitudine pittorica dichiara «sono senza pretese, in fondo non sono altro che un pittore della domenica pomeriggio». Eppure una potente carica cromatica, l’ironia del soggetto e la ricerca espressiva sempre in evoluzione fa di questi esperimenti dei veri capolavori.
Non mancano le critiche di chi lo definisce eccessivamente naïf, ma d’altro canto se si vuole superare il rigore del minimale, delle monocromie astratte, per tornare ad un più compiacente pop figurativo è necessario accettare qualche compromesso. Molto interessanti anche i lavori realizzati durante il periodo di convalescenza domestica, a seguito del grave incidente in moto avvenuto nel 1996. La produzione si incentra su soggetti polimorfi, creature angosciose derivanti dall’universo animale e vegetale, dei veri e propri ibridi appartenenti all’immaginario di viaggio di chi ha oltrepassato il coma. Tutti questi esseri sono divenuti i protagonisti del film Hana-bi e dei grandi vasi esposti a fianco alle opere pittoriche, realizzati per il progetto portato alla 53esima Biennale di Venezia.
Dalla pittura si passa al video, o come meglio definita da Beat «all’immagine in movimento». Un tripudio di esilaranti estratti dei suoi show televisivi, non solo varietà, ma anche gag comiche e pungenti monologhi; infine, in esclusiva per la fondazione Cartier, sono stati realizzati tre piccoli sketch di taglio satirico sulla visione, più o meno grottesca, degli occidentali nei riguardi della cultura/moda giapponese. L’esposizione è stata definita dalla stampa parigina come il più ambizioso progetto portato avanti sino ad oggi dalla fondation, laddove pur essendo mirata ad un pubblico bambino, ha scatenato gli adulti che non smettono di parlarne. Finalmente un’arte spogliata da quelle pretese forzate e concettuali dei nostri tempi, un’arte che faccia semplicemente pensare, sognare, giocare, firmata con passione: Beat Takeshi Kitano.
Fino al 12 settembre
Fondation Cartier, 261, boulevard Raspail, Parigi.
Info: www.fondation.cartier.com