Pasquali, sintetiche evocazioni

Se l’arte di Francesca Pasquali fosse un film, sarebbe senza dubbio “Le fabuleux destin d’Amélie Poulain” perché, come la protagonista, Francesca nelle sue opere crea un dialogo-contrapposizione tra senso di omologazione, standardizzazione e individualità (tipico dei materiali sintetici che utilizza e dell’epoca che viviamo) e la tecnica del tutto personale con la quale imbastisce e tesse le sue sculture rendendole intime e avvolgenti. Dare vita e sembianze vegetali a qualcosa che per composizione chimica non lo è richiede una grande dose di immaginazione. Il “favoloso mondo” dell’artista è fatto di strati di poliuretano e polietilene; i giorni si susseguono all’ombra di un’atmosfera notturna, scura, come il colore tipico di questi composti industriali.

Morbidi grovigli e bozzoli di espanso sono le forme di vita che popolano il suo mondo, si trovano sugli alberi in attesa di evolvere in qualcos’altro, oppure vegetano in diversi quartieri invadendo con la loro massa leggera intere strade. Le sue stelle sono enormi meteoriti di copertone cadute a terra, e per finire uno sgargiante fondale marino di cannucce di plastica colorate riflette i colori che la natura possiede. Materiali di riciclo e di scarto, che nel quotidiano sono utilizzati per gli imballaggi o per imbottire dei materassi, sembrano qui vivere con forme volutamente copiate dalla natura. Ci si sente proiettati in una realtà artificiale immaginaria, complici anche le grandi dimensioni delle sculture a carattere installativo, dove la materia inerte tende al suo contrario, ambisce all’armonia della natura e in questo caso l’intervento dell’uomo non la corrompe o non modifica nessun equilibrio. Natura intesa come tutto ciò che ha un ordine, che risponde a un proprio ritmo vitale e forme costituite da un preciso schema matematico e fisico. La Pasquali sembra mettere in pratica il pensiero aristotelico secondo cui la natura è il movimento o causa che plasma la materia seguendo un modello o forma. La sua arte affascina perché oltre a rendere organico e dinamico tutto ciò che è inorganico e statico, ricorre all’intreccio e al cucito per comporre vere e proprie tessiture rotondeggianti di materiali polimaterici in griglie precostituite, metalliche o di nylon, dalle quali nascono grandi strutture fitomorfiche tessute a mano.

L’artista definisce il suo lavoro «un lento ricamo che trasforma il prodotto industriale in organismi biomorfi informi in cui prospera un’energia intrinseca che prolifera spontaneamente. La materia diventa protagonista di nuove forme, rivalutando così la propria essenza. Utilizzo materiali propri del contemporaneo che tramite la tessitura rivivono nel passato, il desiderio di dar forma alla materia è un processo antico quanto l’uomo». Il ricamo che contraddistingue il suo stile ha tempi di gestazione lunghi e faticosi – per l’opera “39000 straws” ha impiegato un mese e mezzo di lavoro – ed è sempre teso a riprodurre il movimento della natura così com’è perché, a detta della Pasquali «piuttosto che imitarla, l’arte dovrebbe applicarne le leggi intrinseche copiando un modello già esistente. Provo un certo piacere a intrecciare le materie plastiche evitando di forzarle all’interno di griglie-telai, piuttosto le assecondo, così da simulare un effetto più verosimigliante alla natura e straniante possibile. Parto dall’osservazione del dato naturale per rielaborarlo, metamorfizzarlo nella creazione di strutture che dialogano con lo spazio e stimolano l’interazione con il fruitore». A tal fine l’artista si serve della fotografia pensandola come una lente di un microscopio che indaga una cellula: «Il mio sguardo focalizza e ritrae le ramificazioni, le evoluzioni zoomorfe; seleziono in seguito dei particolari tagli dell’immagine che poi vengono realizzati in tridimensionale». La scelta di lavorare materiali industriali è maturata dopo varie sperimentazioni durante il periodo accademico. «I primi anni sono stati sicuramente poco fruttuosi, il classico linguaggio “pennello-colore” non mi portava a raggiungere i risultati sperati, in realtà ero alla ricerca, e questo l’ho capito solo dopo, di un mezzo attraverso il quale poter esprimere una presenza, la mia, mediante una modalità semplicissima: stimolare nell’osservatore lo stesso grado di interesse che provavo di fronte all’infinito mondo materico che mi circondava. Il bronzo, il gesso, la cera e l’incisione sono stati tutti esercizi che mi hanno aiutato a sentire la materia e imparare a percepirne le specifiche proprietà. La ricerca di nuovi materiali mi ha sempre incuriosito portandomi alla sperimentazione della “biologia industriale” propria del contemporaneo. L’utilizzo di prodotti altamente tecnologici, che spesso “vivono” celati a causa dell’uso settoriale al quale sono deputati, mi stimola a proporne una decontestualizzazione tesa a enfatizzare la materia che, il più delle volte, si pensa sterile e inerte».

A volte la Pasquali strizza l’occhio al design, creando degli ornamenti, delle piccole sculture indossabili, da lei definite una sorta di “art a porter”: è un altro modo per portare avanti la “cultura dell’uso” ricercando il contatto con il pubblico. La celebre frase di Marcel Duchamp «sono gli spettatori che fanno i quadri» è cruciale per capire l’importanza del tatto nelle sue opere. Il senso dell’opera, e più in generale dell’arte contemporanea, nasce dalla collaborazione tra artista e spettatore, l’arte genera comportamenti e non solo ammirazione. «Voglio comunicare non solo impressioni visive – conclude l’artista – ma anche indurre ricordi tattili. Toccare per memorizzare sensazioni, cosicché le opere invitino i sensi a esplorarle e il corpo a plasmarle, sprofondando nella sofficità dei grovigli tessuti, mutandone talvolta la forma».


L’ARTISTA

Nel 2006 la prima personale

Francesca Pasquali (Bologna, 31 luglio 1980) si diploma nel 2006 al corso di decorazione all’accademia di Belle arti di Bologna, con una tesi dal titolo Intrecci. Nello stesso anno tiene la sua prima personale “Rolls” a Funo di Argelato (Bologna), seguita da Intrecci a palazzo Gnudi (Bologna) e Superficial-mente alla galleria Art ekyp di Modena nel 2009. Ha partecipato a importanti concorsi: premio Dams (2006), Arteingenua, premio Terna (2008), Talent prize (2009), ed è attualmente invitata a partecipare al premio San Fedele di Milano. Tra le collettive si ricordano nel 2008 “Contemporary art in Bruxelles” e nel 2009 Informale senza giacca alla galleria Guido Iemmi di Milano. Recentemente concluse a Bologna le sue mostre “Organic-Inorganic”, alla Neon Campobase, e Mi sento sgonfia, un’installazione cinetica proposta per Arte fiera off ospitata alla galleria bolognese La pillola. Info: www.francescapasquali.com.