Il 21 marzo di cento anni fa moriva novantenne uno tra i maggiori fotografi dell’Ottocento: Félix Nadar. È nel suo studio in boulevard des Capucines 35 a Parigi che nel 1874 gli Impressionisti, “rifiutati” nel 1863, organizzano una grande mostra in opposizione al “Salon” ufficiale, sulla scia di quanto aveva fatto Gustave Courbet nel 1855 con il suo Padiglione del realismo. Pittore, scrittore e soprattutto fotografo, Gaspard-Félix Tournachon, in arte Nadar – come finì per chiamarsi per via di un gioco fra amici – ha immortalato i grandi del suo tempo: da Sarah Bernhard e George Sand a Charles Baudelaire e Jules Verne; da Eugène Delacroix a Honoré Daumier e Gustave Courbet.
Nadar nasce a Parigi nel 1820, studia al liceo Condorcet, nel 1837 si iscrive alla facoltà di medicina a Lione. Abbandonati gli studi, spinto anche dalla necessità di denaro, inizia a collaborare con diverse testate lyonesi, facendo in seguito del giornalismo la sua professione. Decide di tornare a Parigi dove fonda “L’audience”, giornale di cronaca giudiziaria, e “Le livre d’or” per il quale riveste la carica di caporedattore a soli diciannove anni. Il suo lavoro come caricaturista per il giornale satirico “Le Corsaire-Satan”, cui collabora anche il grande amico Baudelaire, e poi per altre riviste sfocia nel 1854 nel “Panthéon Nadar”, omaggio e allo stesso tempo scherzosa parodia della cultura francese, con le sue centinaia di caricature, realizzate con l’ausilio di molte fotografie.
È a questa inaspettata passione per la fotografia che dobbiamo il privilegio di poter dare un viso, un aspetto e una vivida quotidianità – fatta anche di abiti e posture – a letterati e artisti della seconda metà del XIX secolo. Di mente aperta, Nadar interiorizza e fa proprie le idee innovatrici del tempo: per primo fotografa le catacombe e la rete fognaria di Parigi, in un precoce esempio di speleologia urbana, sfruttando anche le potenzialità dell’illuminazione artificiale. È il primo, inoltre, a fotografare la città dall’alto di un pallone aerostatico, episodio che ha ispirato i romanzi di Jules Verne. Sposata Ernestine Lefèvre (che ha la metà dei suoi anni), acquista lo studio in rue Saint-Lazare 113 che diventa meta fissa della ricca borghesia dell’epoca. Nel 1900, il figlio allestisce una retrospettiva della sua opera all’interno dell’Esposizione universale di Parigi. Questa la consacrazione ufficiale di un autentico testimone della vita della "Belle époque", scomparso nel fervido periodo culturale delle avanguardie storiche, nell’anno 1910.