«Restituire un teatro instabile dove ritratti di ritratti (mai ritratti dal vero) falliscono ripetutamente il loro tentativo di compiersi» dice Nicola Samorì (Forlì, 1977) che alla Marcorossi arte contemporane di Milano presenta una serie di venti opere tra dipinti e sculture dove la gratitudine della tradizione, amata e lacerata in fase di produzione, si fa ora modello attraente di una vanità inquietante. Diverse infatti sono le opere che, celebri di fama rinascimentale o al contrario dimenticate dalla storia, vengono reinterpretate da Samorì per acquistare una potenza narrativa propria: partendo da una figurazione quattrocentesca consolidata, l’artista opera graffiando volti e trasformando il bello in sgraziato, attuando così la dialettica del mostro, titolo ripreso dal concetto dello storico tedesco Warburg per evidenziare lo stato di inquietudine nascosto nella bellezza di ogni epoca.
Dopo un 2009 intenso di lavoro ed esposizioni terminato con la personale “Being” all’ex convento di San Francesco, la defigurazione di Samorì è ormai consolidata e riconoscibile, ancora in grado di stupire chi della pittura temeva l’invecchiamento. Inchiostri su rame, su alluminio, stratificazioni di materia che affliggono volti di donne e uomini dal sapore classico, dimostrano una sapiente conoscenza della tecnica che si allontana dall’essere didascalica e ridondante, ma anzi, essenziale per poterne effettuare un distacco: conoscere il mezzo con cui si opera, dosare la quantità di inchiostro misurandolo con l’essiccamento delle colle e il bilanciamento delle ombre senza perdere definitivamente la figura di partenza restano tutti fattori che lottano con il tempo e la costanza di dissuadere la noia e l’ovvietà di un ritratto dalla sua ridondante “gabbia storico-semantica”: il volto si dissocia da una raffigurazione stabile e riconosciuta e sfruttando la grammatica anatomica rinascimentale, si lacera con sapienza e contemporaneità visiva. «Come se l’ultima pelle – dice Beatrice Buscaroli – dell’opera rivolgesse all’esterno un volto di apparente semplicità, di fresca nascita mentre sotto agisce l’instancabile lavorìo di sgorbie e acidi, torchi, inchiostri, gessi, calce, sabbie, un immenso crogiuolo di materiali e cose dai quali la pittura sembra prender forma scrollandosi di dosso tutto, alla fine. Nota eccentrica nella declinazione della sua genealogia artistica, il Rinascimento ferrarese».
I lavori di Nicola Samorì, cupi di un vagito classico e un’adolescenza romantica, sembrano congelare il tempo storico per affrontarlo nel presente. Ognuno di noi può riconoscerne quell’iconografia consolidata ma, in fondo, dietro ogni strato, c’è la contemporaneità di una ricerca individuale che utilizza uno studio pratico e consapevole. Speriamo solo di non cadere prima o poi nel consumo di quell’atto pittorico sgraziato ora forte di riconoscimento visivo, senza che se ne abusi incoscientemente.
Fino al 27 marzo
galleria Marcorossi Spiralearte
corso Venezia 29, Milano
Info: 02795483.