Studio azzurro, spazi narranti

Comunicativi, evocativi, espressivi, i fondatori di Studio azzurro, Fabio Cirifino, Paolo Rosa, Leonardo Sangiorgi e Stefano Roveda. Nel corso della loro lunga carriera si sono cibati di citazioni dalla cultura e dalla storia, ma la vera citazione che non manca mai è quella dell’emotività. L’utilizzo delle nuove tecnologie si è concretizzato nelle loro mani come inno alla poesia e alle emozioni, declinate a volte delicatamente a volte in maniera prorompente. Sono possessori degli strumenti tecnici e sensibili per lacerare la quotidianità e immergere lo spettatore in un’esperienza a tutto campo dove conta il relazionarsi e l’essere parte attiva di un gioco serio. Da un colloquio con un componente storico del gruppo Paolo Rosa emergono i dati essenziali della poetica e dell’attività di Studio azzurro.

Come vi dividete i ruoli?
«Non c’è una divisione precisa. Quando viene fatta una proposta a uno di noi, si crea uno staff all’interno dello studio che è formato da 25-30 collaboratori».

Quali sono i vostri maestri?
«Parlando per me, non ho maestri. Lo dico senza supponenza perché sarei stato ben disposto ad averne, però nel periodo della mia formazione, gli anni ‘70, non si parlava di maestri ma di una rottura generazionale profonda. Allora facevo parte del Laboratorio di comunicazione militante. Ciò non toglie che ho collaborato con Davide Boriani del gruppo T».

Come è iniziata l’avventura creativa di Studio azzurro?

«Fra ‘78 e ‘79 mi sono trovato da solo con la mia passione per il cinema. Ho coinvolto un gruppo di amici, il primo nucleo di Studio Azzurro, nella realizzazione del film Facce di festa. Negli anni ’80 Ettore Sottsass ci chiese di supportare la nuova collezione con una istallazione video e ci siamo subito resi conto che il video era una modalità interessante. Ci piaceva creare un dialogo con lo spazio, con il racconto, un percorso che non fosse né pittura né scultura né cinema o design o allestimento, era un videoambiente».

Quali sono le caratteristiche dei vostri videoambienti?
«Contengono una dimensione narrativa che viene sviluppata attraverso sistemi multimediali. Nascono dalla triangolazione fra ambiente fisico, narrazione virtuale e presenza attiva dello spettatore. C’è il dialogo fra spazio, immagine in movimento e fruitore che si può muovere e può vivere il tempo dell’installazione. L’esempio forse più famoso è Il nuotatore».

I successivi ambienti sensibili, l’interattività sono un approdo importante della vostra poetica?

«Gli ambienti sensibili vivono di interattività, impongono la necessità di innescare un dialogo fisico. Lo spettatore può toccare l’immagine, trasformare il racconto, intervenire nella narrazione, anche grazie alle tecnologie che lo hanno permesso. Nella loro costituzione, la prima regola è il tipo di approccio alla tecnologia. Abbiamo preferito creare un rapporto con il pubblico senza interfacce, in maniera che lo spettatore possa muoversi liberamente e esprimersi con il gesto e il corpo per valorizzare la sua presenza in maniera quasi coreografica. La seconda regola è che siano degli ambienti in controtendenza rispetto all’andamento della tecnologia che isola, rigenerando una socialità tramite l’interazione».

I filoni principali della vostra produzione sono gli elementi naturali, il corpo umano e la storia, come si relazionano con le tecnologie?
«La tecnologia a volte si dimentica di questi aspetti. Manca di ricordare che esiste un corpo e quindi per noi è importante riaffermarne la presenza. La dimensione naturale è uno dei problemi centrali di questa fase storica dove l’equilibrio in tal senso è del tutto mancante. I mezzi tecnologici ci proiettano in avanti e uno sguardo indietro alla storia ci sembra un modo per progettare il futuro».

Come sono strutturati i vostri musei?
«Le caratteristiche dei musei che progettiamo sono memori della nostra esperienza con l’interattività. I rapporti fra opera e museo si possono comparare a quelli fra tela e affresco, nel secondo ci sono una dimensione ambientale, una narrativa e una committenza molto potenti. Nei musei lavoriamo sulle sensorialità mescolando presenza virtuale e reale. Li definiamo di narrazione diversamente dal museo di collezione. Lo spettatore è attivo, si prende le responsabilità di toccare, spostare o aggiungere un suo commento, trasformandoli in piccoli laboratori».

A quando risalgono le prime esperienze con il teatro?

«Ho iniziato a girare un film, L’osservatorio nucleare del signor Nanof, nell’84 con Giorgio Barberio Corsetti. Abbiamo poi collaborato e Giorgio mi ha insegnato a fare teatro. Uno dei nostri spettacoli, La Camera astratta del 1987, ha segnato l’apertura di Documenta 8 di Kassel».

Qual è il ruolo della musica?

«Ci serviamo di tante espressioni sonore: musica, rumori, voci, suoni. All’inizio la musica ha avuto un ruolo trainante, abbiamo fatto esperienze con Peter Gordon, Braian Eno e molti altri».

Qual è il vostro criterio estetico?

«Dagli ambienti sensibili in poi il nostro concetto di bellezza non è più legato a belle forme, ma piuttosto a belle relazioni. Un buon lavoro è quello che riesce a costruire un bel rapporto con il pubblico, che fa fare un bel gesto, che fa venire una bella idea».

IL GRUPPO
“Interattivo” dai primi anni Ottanta

Studio azzurro nasce nel 1982 con la collaborazione fra Fabio Cirifino (12 gennaio 1949), esperto di fotografia, Paolo Rosa (28 settembre 1949), esperto di arti visive e cinema, Leonardo Sangiorgi (26 agosto 1949), esperto di grafica e di animazione, a cui si aggiunge nel 1995 Stefano Roveda (16 ottobre 1959), esperto di sistemi interattivi. Insieme a loro quattro un team di collaboratori. La prerogativa di Studio azzurro è la creazione di arte attraverso le nuove tecnologie ponendo attenzione al dato umano. Sono conosciuti a livello internazionale fin dalla realizzazione dei loro primi videoambienti per proseguire con gli ambienti sensibili e arrivare alla progettazione di musei, senza tralasciare il cinema e il teatro. Si distinguono per l’utilizzo dell’interattività.

LA MOSTRA
Sensibili energie

Alla Galleria comunale di arte contemporanea di Arezzo vanno in scena la mostra Sensibili energie dell’arte contemporanea a cura di Giovanna Uzzani e Alberto Salvadori. Si dipana su due piani dove sono collocate opere che dagli anni ’60 a oggi trattano il tema dell’energia anche nella sua relazione con l’uomo. Nella parte curata da Giovanna Uzzani è presente il videoambiente Il giardino delle cose di Studio azzurro. Sensibili energie dell’arte contemporanea fino 28 febbraio, Galleria comunale d’arte contemporanea, piazza San Francesco 4, Arezzo. Info: 0575299255; www.comune.arezzo.it. Attualmente Studio azzurro sta progettando il museo di Betlemme sull’identità popolare palestinese con il patrocinio dell’Unesco, sta realizzando “Sensitive city,” un’opera per il padiglione Italia dell’expò di Shanghai e un’opera per il Maxxi di Roma.