Il trucco della maschera

Indossare una maschera o inventare un trucco è un’immagine che conserva sempre una sorta di sgradevole inganno, di finzione, un piccolo tradimento di fiducia che a tratti può assumere il carattere giocoso della burla ma che, più frequentemente, incute lo sgomento dell’abbandono, della perdita. La maschera rappresenta essenzialmente una rinuncia identitaria, un temporaneo cambio di soggettività a favore di un “altro” simbolico, una sostituzione incompleta, mediata dalla finzione e dal trucco, non dunque l’accettazione di una diversità e nemmeno, nella maggioranza dei casi, l’ambizione imitativa.

Accettare la maschera rappresenta l’atto con cui si ammette consapevolmente uno scambio di identità, si accetta cioè di usare un’altra soggettività senza con ciò mai abdicare alla propria. Il trucco della maschera sta proprio nella persistente volontà di non tradire la propria personalità ma, anzi, giocare e ingannare con altrui identità fittizie. È il sottile gioco dell’apparenza, del travestimento, un gioco in cui l’aspetto dominante non è il dubbio o la fragilità di un soggetto che si oscura o si annichilisce in un’apparenza deviata, al contrario, questo gioco svela l’ambigua e perversa sicurezza di un’identità che non teme il confronto e che anzi lo provoca sfruttando la sorpresa e la misteriosa potenzialità di una presenza celata. Infatti, attraverso l’uso della maschera e dei suoi trucchi, si approda alla dimensione simbolica dell’alterità, del difforme, dell’inatteso, una dimensione dove tutto sembra essere assorbito dal dubbio, dall’incertezza, dall’ambiguità e dall’inquietudine di una realtà che si maschera, che si fa altra, che affonda in un’apparenza esibita, in una verità illusoria.

Allora, inevitabilmente, lo sguardo si sposta, si fa strabico, dalla visuale frontale della maschera si passa alla visione attraverso di essa, da una veduta passiva a una visione attiva, dall’occhio spaesato e incerto a quello astuto e complice. Dietro ogni maschera si cela il sottile piacere vojeuristico del guardare senza essere visti, un piacere perverso, acido, come quello delle donne arabe che attraverso il burqa possono ammirare gli uomini senza dimostrare emozioni o tentazioni. Il segreto del nascondersi è anche un altro modo per esibirsi, celare la propria identità dietro un velo o una maschera è anche riconoscere la nudità altrui.

Certo, la maschera non indica sempre un atto di volontà, spesso è imposta, spesso è un marchio indelebile sul colore della pelle o sui volti delle differenti culture ma, anche nell’orrore della costrizione e del pregiudizio, il gioco dell’apparenza e dell’alterità non rinuncia completamente alla propria carica di presenza e personalità. È, ancora una volta, l’ambigua sospensione del travestimento: quella ossessiva eleganza del torero prima di accedere all’arena, come quella eccessiva, volgare irregolarità di Leigh Bowery nelle discoteche londinesi degli anni Ottanta; quella mistica e solenne delle varie liturgie religiose o sciamaniche, come quella rudemente aggressiva e violenta dei corpi militari; quella distaccata, assente e visionaria di Marcel Duchamp durante le sue partite a scacchi, come quelle sofisticatamente complesse e contorte di Matthew Barney o di Paul Mac Carthy.

L’arte ha sempre approfittato dell’intima esigenza di nascondere e confondere immagini di identità, spesso ha adottato questa ambizione come un proprio linguaggio, la maschera come cifra di un fare artistico capace di far confluire istanze performative e oasi installattive, inganni percettivi e visionarietà allusive, simbolismi esoterici e gestualità istintive e incontrollabili.

*critico d’arte e curatore della mostra, estratto dal Trucco e le maschere, cortesia Biblos art gallery


LA MOSTRA

I cinque della metamorfosi

Byblos art gallery prosegue il suo percorso di ricerca dei linguaggi artistici contemporanei più innovativi presentando la mostra collettiva Il trucco e le maschere. Un vertiginoso viaggio nel regno della metamorfosi e del gioco ingannevole che deforma la realtà sfuggendo i tradizionali canoni estetici, attraverso le opere di cinque tra i più interessanti protagonisti del panorama internazionale: Mat Collishaw, Angelo Filomeno, Yasumasa Morimura, Tony Oursler, Sissi. Ambiguità, travestimenti, percezione ingannevole e manipolazione distorta del reale sono le modalità espressive e formali che la mostra, a cura di Danilo Eccher, si propone di indagare attraverso la pittura, la scultura, l’installazione video e la fotografia. Fino al 27 marzo. Byblos art gallery, corso Cavour 25/27, Verona. Info: www.byblosartgallery.it.