Il Trecento di Cattelan e Bianchi

La chiesa trecentesca di Santa Maria Donnaregina, detta “o vecchia”, è un prezioso tassello integrante, ma caparbiamente nascosto, del Madre, il museo di arte contemporanea napoletano. La chiesa, da tempo sconsacrata, diviene uno spazio espositivo collaterale, estremamente suggestivo, ed è degna cornice per le più provocatorie istallazioni di artisti contemporanei.

Contestualmente alla mostra Barock, in corso al Madre fino al 5 aprile, lo sconvolgimento delle austere volte gotiche è stato affidato a due artisti italiani, anche loro in mostra fino ad aprile: Maurizio Cattelan e Domenico Bianchi. Nel chiostro di epoca cinquecentesca si insediano due silenziose panche di pietra che svelano a un occhio attento un’inequivocabile segno distintivo: l’arabesco di Bianchi. Questa volta però la cera, assorbita dal marmo, rende un trompe l’oeil degno della migliore tradizione barocca rivisitata. All’interno la chiesa è completamente vuota, qualche timido, forse per riflesso condizionato, abbozza un segno della croce, rivolto verso un altare che non c’è più e in direzione di un crocifisso leggermente alterato. Le alte vetrate ogivali racchiudono la zona absidale a pianta pentagonale, laddove, sotto un fascio di luce, si presume risplenda un grande crocifisso. Ma vi è qualcos’altro: una donna di spalle, a braccia aperte, pare crocifissa a pancia sotto, ma non lo è. Il corpo è intrappolato su un letto da manicomio, o forse è stato appena scosso da uno strumento di tortura. Non ci sono chiodi, ma si respira morte e sofferenza.

Maurizio Cattelan, da ironico provocatore di ciniche risate, cerca oggi le riflessioni più serie del suo pubblico, parlando di morte, in maniera diretta, e cruda. La scultura è la rappresentazione tridimensionale di una fotografia di Francesca Woodman, l’artista americana morta suicida nel 1981, che desiderava morire giovane per preservare le sue virtù. Non più statue che sintetizzano i canoni della bellezza, non più muse e dee, non più atleti né eroi della patria, non più sculture di cui innamorarsi, ma verisimili creature cadaveriche, in fuga dal museo delle cere.