Mancano pochi mesi, e finalmente la capitale d’Italia avrà non uno, ma due musei dedicati all’arte contemporanea, il Macro e il Maxxi. Proprio come successe a Napoli qualche anno fa, con l’apertura, quasi simultanea, di Pan e Madre, con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti: il Pan mezzo chiuso e agonizzante, ridotto ad ospitare mostre di livello locale, e il Madre ricco e trionfante, in grado di mettere in piedi una programmazione degna di uno spazio espositivo di livello internazionale, con tanto di collezione di indubbia qualità. Dopo anni di assenza, due musei in un colpo solo non saranno troppi?
La situazione è sempre la stessa, tipica di questa Italietta frettolosa e inconsapevole, dove al posto di una crescita graduale e misurata con le effettive esigenze del territorio, si passa dal nulla al tutto in un batter d’occhio. Adesso però gli edifici ci sono, firmati da due architetti del calibro di Zaha Hadid e Odile Decq. Entrambi di pregio, ma pongono una serie di problemi: come verranno utilizzati, e soprattutto che relazione avranno con la città? La domanda è lecita, perché bisogna premettere che in questo ultimo decennio, da quando è stato avviato il progetto Maxxi, l’interesse verso il contemporaneo a Roma è cresciuto in maniera esponenziale. Le prove? Da una parte l’apertura di alcune fondazioni private molto attive sul territorio come Nomas, Volume, Pastificio Cerere e Guastalla, dall’altra la presenza di gallerie giovani, interessate alla promozione di artisti emergenti di livello internazionale, come Extraspazio, Unosunove, Monitor, Federica Schiavo, Lorcan O’Neill, insieme alla creazione di spazi no profit gestiti da critici e curatori di indubbia professionalità come 1:1 e 26cc, ha fatto crescere una nuova generazione di collezionisti attenti, informati e consapevoli. A questo si aggiunge “The road of contemporary art”, la prima fiera di arte contemporanea che nel 2010 arriverà alla sua terza edizione, le attività espositive dell’Auditorium e i programmi delle Accademie straniere (francese, tedesca, americana, belga, rumena, britannica, danese ed egiziana) per comporre uno scenario complesso e articolato, che ripone giustamente molte aspettative sulla programmazione degli spazi espositivi pubblici più prestigiosi come le Scuderie del Quirinale, il palazzo delle Esposizioni, l’Ara Pacis, Macro e Maxxi.
Nello stesso arco di tempo, le risposte provenienti dalle istituzioni pubbliche romane, nazionali e comunali, hanno assunto e assumono la forma di punti interrogativi. Al vertice dell’Azienda speciale Palaexpò abbiamo assistito al passaggio da Giorgio van Straten a Ida Gianelli, sostituita di recente da Emmanuele Emanuele; al Macro la sostituzione di Danilo Eccher, nominato e fortemente appoggiato dall’ex sindaco Veltroni con Luca Massimo Barbero, mentre per il Maxxi la continuità di Pio Baldi, Anna Mattirolo e Margherita Guccione garantisce un desiderio di solidità che le istituzioni comunali non hanno dimostrato, nonostante la dipartita in sordina del curatore Paolo Colombo, nominato dall’ex ministro Giovanna Melandri.
Se in città cresce il bisogno di presentare arte contemporanea di qualità internazionale, questo non sembra riguardare più di tanto gli spazi pubblici, che dopo anni di programmi confusi e discontinui soltanto in tempi recenti sembrano essersi attrezzati per rispondere a questa esigenza. Con alcuni scivoloni e cadute di stile ben visibili, come la mostra di fotografie scattate da Gina Lollobrigida esposte al Palazzo delle Esposizioni pochi mesi fa, oltre alle discutibili sculture del semisconosciuto artista della Costa Rica Deredia, al quale sono state riservate location di eccezione come i Fori, il Colosseo e alcune importanti piazze del centro storico. Ma anche diversi successi, come le antologiche di Rothko e Calder al Palaexpò e la dinamica New York minute al Macro Mattatoio, che nel solo giorno di inaugurazione ha richiamato più di 6.000 giovani.
Insomma, i segnali positivi ci sono, e non pochi. E dovranno essere i due nuovi musei, con una programmazione di qualità e prestigio internazionale, a raccoglierli, per fare sì che il contemporaneo a Roma possa davvero rinascere.